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«Con gli Usa si può chiudere subito»


BRUXELLES Chiudere in fretta, prima possibile, evitando che l’incertezza di un accordo in standby comprometta i mercati. È la convinzione che muove Giorgia Meloni, in ore in cui la partita dei dazi entra nel vivo, a 10 giorni dalla deadline fissata da Donald Trump per arrivare a una stretta di mano. Sul tavolo resta la possibilità di una proroga se la trattativa sulla rotta Bruxelles-Washington dovesse arenarsi, mettersi male. Allungando i tempi fino al 2 settembre, festa del lavoro negli States, data indicata dal segretario al Tesoro, Scott Bessent, in un’intervista a «Fox Business».

LA PROROGA

Una scadenza più morbida rispetto a quella fissata per inizio luglio dal tycoon, che ad aprile aveva annunciato una sospensione temporanea dei dazi globali. Le parole di Bessent hanno avuto un impatto immediato sul mercato a stelle e strisce, con un’impennata dei future sull’indice S&P 500. Ma davanti alla parola “proroga” la presidente del Consiglio vede nero, racconta senza giri di parole chi l’ha sentita in queste ore. Bollando come “lunari” le ricostruzioni che si rincorrono a Bruxelles, ovvero che ci sia la “manina” della premier italiana dietro la decisione di The Donald di concedere più tempo alla trattativa, ammesso ne serva.

Spostare più avanti lo showdown genererebbe nient’altro che scossoni sui mercati, inoculando sfiducia, è la convinzione che filtra da Palazzo Chigi. Del resto sin dall’infausto “Liberation day” Meloni aveva predicato calma e gesso: guai a seminare il panico, il leitmotiv ribadito a ministri e membri della sua squadra.

SCADENZA DA ANTICIPARE

A mordere il freno, ieri, anche The Donald, con parole di segno opposto a quelle di Bessent. La scadenza del 9 luglio per l’entrata in vigore dei dazi «non è decisa», ma potrebbe essere anticipata: «Possiamo fare tutto quello che vogliamo — ha dichiarato il tycoon — potremmo estenderla. Potremmo accorciarla. Mi piacerebbe accorciarla. Mi piacerebbe mandare lettere a tutti e dire, “congratulazioni, pagherete il 25 per cento”». Ma a Roma si guarda al 10, nella convinzione che le imprese italiane parerebbero il colpo. A scudarle il bollino del “Made in Italy”, e una filiera che — lungo la catena — dovrebbe assorbire l’aumento deciso dalla Casa Bianca.

Intanto il lavoro da “pontiere” cominciato da Meloni prosegue a livello ministeriale: oggi il ministro Francesco Lollobrigida volerà a Washington per incontrare il segretario all’Agricoltura americano Brooke Rollins. Dagli ultimi dati Istat, attenzionati dal governo, emergono luci e ombre. L’economia italiana tiene, con il fatturato delle imprese che, fra dati altalenanti, resta positivo di fronte alla tempesta innescata dai dazi di Trump. Ma i consumi rischiano: la fiducia delle famiglie scende, quella delle imprese «migliora in tutti i settori ad eccezione del commercio al dettaglio», dice l’Istat suscitando l’allarme delle associazioni. E facendo suonare il campanello d’allerta nelle file dell’esecutivo.«Bisogna chiudere in fretta», la convinzione che guida Meloni e la accomuna al cancelliere tedesco Merz. Dietro la convinzione condivisa di dover accelerare un dato: Germania e Italia sono i paesi che negli States esportano di più.

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