23.05.2025
12 Street, Rome City, Italy
Politics

coinvolgere anche Erdogan come mediatore


In salita. Giorgia Meloni continua a lavorare sul dossier ucraino, ora che si è aperto uno spiraglio su nuovi negoziati di pace nella Santa Sede. Rientrata a Palazzo Chigi dopo la febbre che l’aveva costretta a casa martedì, la premier ha avviato i contatti con Washington per informare Donald Trump della telefonata con il pontefice e della piena disponibilità di Leone XIV ad accogliere le trattative per mettere fine alla guerra in Vaticano, sin da subito. «Ogni giorno che passa è un giorno sottratto alla pace», la convinzione condivisa dalla presidente del Consiglio e da Prevost nella telefonata di martedì.

I DUBBI DI MOSCA

Ma mentre la Santa Sede ha confermato la ferrea volontà di ospitare il dialogo tra le parti in conflitto, è su Mosca che continuano ad addensarsi nubi. E sospetti. Perché il timore che rimbalza nelle Cancellerie, soprattutto in quelle europee, è che Putin disdegni di andare a trattare nella “tana del Leone”, metafora usata per indicare un pontefice che non ha mai fatto mistero di considerare la «martoriata» Ucraina il Paese aggredito. Mosca ha tra l’altro fatto sapere di non avere ancora ricevuto dal Vaticano alcuna proposta di mediazione, sottolineando che «non è stata presa alcuna decisione sulla sede di ulteriori negoziati», dopo quelli di Istanbul del 16 maggio finiti con un nulla di fatto. La Russia «accoglie con favore la disponibilità e gli sforzi di tutti quei Paesi che desiderano contribuire a una rapida soluzione», ha assicurato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ma, al di là delle dichiarazioni di buona volontà, non ci sono segnali che Mosca sia disposta a compromessi. Le prossime 24 ore saranno dunque decisive per capire se il negoziato in Vaticano “s’ha da fare”. O se la foto del faccia a faccia Trump-Zelensky tra le navate di San Pietro sia destinata a restare un suggestivo ma isolato scatto di questa storia.

LA STRATEGIA

La strategia di Meloni si compone step by step, un passo alla volta. Dopo aver informato il fronte dei volenterosi sull’apertura del Papa e una volta messo al corrente Trump — i contatti sono in corso dalla sera di martedì ma parlare con il numero 1 della Casa Bianca non è cosa semplice, complici le agende piene e le sei ore di fuso orario — la presidente del Consiglio avrebbe convenuto con Zelensky sulla necessità di tenere saldamente dentro la partita il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, gran visir di diversi “abboccamenti” tra le due parti in guerra. L’ultimo risalente appena a una settimana fa, con i negoziati di Istanbul finiti in un nulla di fatto. La partita della pace è lunga e difficile, e il ruolo che la Turchia potrebbe intestarsi, semmai si dovesse arrivare a far tacere le armi, potrebbe rivelarsi decisivo. Tanto più che la coalizione dei volenterosi difficilmente potrà fare a meno di Ankara, che vanta per numeri il secondo esercito della Nato, con capacità militari che, visti i tempi che corrono, le capitali europee non possono che invidiarle. Soprattutto, la Turchia è tra i pochi Paesi ad avere tenuto costantemente aperti i canali sia con Putin che con Zelensky, mostrando un pragmatismo raro, con doti da equilibrista. Che hanno consentito al funambolo Erdogan di mettere a segno la prima vera intesa sul grano sulle rotte del Mar Nero.

LA NEUTRALITÂ DI ANKARA

La Turchia ha bilanciato i suoi interessi mantenendo una posizione neutrale ed indipendente. Da un lato offrendo a Kiev una sponda preziosa, parlando di «integrità territoriale» e «pace duratura» e mettendo sul piatto droni e componenti militari. Dall’altra rifiutando di imporre sanzioni a Mosca, anzi incrementando gli affari con la Russia, incurante delle frizioni con Joe Biden. Con il cambio della guardia alla Casa Bianca, il ruolo di principale player per la pace è passato a Trump. Ma la situazione è fluida, tanto più alla luce dall’imprevidibilità del tycoon: a Meloni, come al leader di Kiev, non sfugge che Erdogan potrà tornare a giocare un ruolo decisivo. Il Presidente turco è diventato un alleato tanto cruciale quanto spinoso per Bruxelles, determinante per la sicurezza del fianco orientale. Ecco perché sarebbe un errore grossolano lasciare il “sultano” fuori dai giochi. Nelle prossime ore — riferiscono fonti beninformate — la linea Kiev-Ankara tornerà a squillare. Come quella, c’è da scommetterci, sulla rotta Turchia-Italia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Leave feedback about this

  • Quality
  • Price
  • Service
[an error occurred while processing the directive]