22.11.2025
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Economy

«Chiude uno su cinque». Allarme desertificazione


Il contrario di città, diceva qualche anno fa il noto l’architetto Renzo Piano, «non è campagna, è deserto». È quello che sta succedendo ai centri urbani italiani, sempre più spogliati di negozi e piccole botteghe, soprattutto in periferia, e riempiti, solo a macchia di leopardo, di fast food, mini-market, ristoranti e bed and breakfast. Insomma, città fantasma o enormi centri come case vacanza.

Secondo Confcommercio, complice la consacrazione degli acquisti sulle piattaforme online (a partire da Amazon, Temu e Shein) e gli scarsi investimenti pubblici in periferie e borghi, negli ultimi dodici anni ha chiuso il 21% dei negozi fisici. E, senza interventi urgenti, si arriverà presto a un negozio chiuso ogni cinque. Per la precisione, dal 2012 a oggi, sono 140mila le attività di commercio al dettaglio in meno, tra negozi (118mila hanno chiuso) e attività ambulanti, o che sono “artigiane”, ma lavorano online (23mila in meno). Con cali più elevati nei centri storici e nei piccoli comuni. L’associazione che rappresenta il mondo del commercio lancia l’allarme sulle vendite al dettaglio nei canali tradizionali, spiegando infatti che la situazione nei prossimi dieci anni rischia di aggravarsi ulteriormente, con la chiusura di altre attività e un saldo negativo di circa il 20% rispetto alla situazione attuale.

Le variazioni

Con il cambiamento delle abitudini di vita e l’aumento del turismo, sono cresciute dal 2012 le attività di ristorazione (+17,1%), mentre sono diminuiti i bar (-19,1%). Si sono ridotti quindi gli alberghi (-9,5%), mentre hanno fatto un balzo le altre attività ricettive come i bed and breakfast e le case vacanza (+92,1%). Le nuove modalità di consumo, con l’acquisto che si sposta online per una quantità progressivamente maggiore di prodotti (da libri e giocattoli ha conquistato anche il comparto abbigliamento) hanno quindi cambiato volto alle città. Sempre negli ultimi dodici anni, le imprese attive che lavorano prevalentemente su internet o nella vendita per corrispondenza sono aumentate di oltre 16mila unità (+115%).

Tra le attività che hanno subito la riduzione più significativa ci sono quelle dei distributori di carburante, con un calo del 42,2% (si è passati da 21.700 pompe di benzina a 12.500), quelle di articoli culturali e ricreativi, con una riduzione del 34,5%, quelle di mobili e ferramenta (-26,7%), e l’abbigliamento e le calzature (-25%).

Per il commercio non specializzato (supermercati, discount e grandi magazzini) in dodici anni la riduzione delle attività è stata del 34,2%, con il passaggio da 54.800 a 36.100 negozi, probabilmente anche grazie alla concentrazione tra le attività. C’è stato invece un aumento delle farmacie (+16,9%) e dei negozi che sono specializzati in computer e telefonia (+4,9%). Nel complesso per i servizi di alloggio e ristorazione nel 2024 c’erano quindi quasi 337mila imprese, con un aumento del 5,8% sul 2012. Ma nel settore soffrono i bar, viste le nuove abitudini di consumo (con l’aumento dell’asporto e del delivery) e per la migrazione delle imprese nel settore dei ristoranti. Crescono invece bed and breakfast e case vacanza. Dopo l’aumento del 92,1% negli ultimi dodici anni, si prevede un nuovo balzo del 81,9% entro il 2035.

I comuni capoluogo di provincia con la più bassa densità commerciale (e che potrebbero subire i cali peggiori nei prossimi dieci anni, fino al 38%) sono quasi tutti al Nord, dove si concentra una quantità maggiore di persone. Ci sono Ancona, Ravenna, Trieste, Novara e Reggio Emilia. Nel centro Italia la peggiore è Fiumicino. Ma nel Lazio c’è anche una città tra le dieci in Italia con più negozi per abitanti, cioè Frosinone. Tra le altre con la maggiore densità commerciale, il cui dato per tutte è inficiato dalla popolazione residente ridotta, ci sono Trapani, Cosenza, Nuoro e Cagliari. Anche queste, però, potrebbero subire cali fino a oltre il 25% nei prossimi dieci anni.

Le ricette

Il rischio, secondo Confcommercio, è di perdere in tutto altre 114mila imprese entro il 2035. Quindi oltre un quinto delle attività oggi esistenti sparirebbe. Con «gravi conseguenze» secondo l’associazione «per l’economia urbana, la qualità della vita e la coesione sociale». Da qui la richiesta di nuove ed efficaci politiche di rigenerazione urbana al livello locale e nazionale, con una cabina di regia che metta assieme fondi europei di coesione, Pnrr e risorse di Comuni e Regioni a favore soprattutto delle periferie e dei piccoli borghi. Per complessive decine di miliardi nei prossimi dieci anni.

Ma anche potenziare l’iniziativa, attiva dagli anni ‘90, dei Distretti urbani dello sviluppo economico (entità territoriali in cui Comuni, imprese e associazioni collaborano per promuovere il tessuto commerciale e urbano), con regole semplici e uguali, così come obiettivi minimi, per tutte le Regioni. E ancora: dei patti tra Stato e aziende per rilanciare i quartieri (rendendoli più vivi e quindi appetibili per le attività commerciali), compresi più accordi immobiliari per gli spazi di comunità. E infine interventi immediati, come programmi comunali anti-desertificazione, per riutilizzare gli oltre 105mila locali adattabili a negozi, ma sfitti, un quarto dei quali da oltre un anno. Si può fare, per Confcommercio, con canoni calmierati e incentivi pubblici e privati.


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