08.08.2025
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Politics

«Chiedo uno sforzo in più». Patto con la Libia sugli sbarchi


ROMA Obiettivi libici colpiti grazie all’industria di difesa turca ad appena 48 ore dal trilaterale della premier Giorgia Meloni a Istanbul con il presidente Recep Tayyip Erdogan e con il primo ministro della Libia, Abdul Hamidf Mohammed Dbeibah. Con raid contro le città costiere di Sabratha e Zwara, dove muovono i barconi carichi di migranti alla ricerca di una nuova vita. Nel mirino dei droni forniti da Ankara al governo di unità nazionale di Tripoli le fabbriche e gli stabilimenti dediti alla costruzione di barche e barchini ed altro equipaggiamento necessari per il traffico di clandestini. Un segnale chiarissimo che certifica la triangolazione dell’Italia con la Libia di Dbeibah e con il sultano e gran visir turco, per Meloni indispensabile per puntellare i risultati messi a segno nell’ultimo anno nella lotta «al mercimonio di essere umani» nel Mediterraneo. «E ora vi chiedo uno sforzo in più. Lo so che è complesso ma è quel di cui abbiamo bisogno», l’appello della leader italiana diretto ai due, lo sguardo fermo su Dbeibah, perché è a lui che Meloni chiede di fermare l’emorragia di sbarchi certificata dai numeri attenzionati dal Viminale. Per arginarli, Meloni apre un nuovo canale di collaborazione con Ankara, perché è Erdogan l’uomo forte al tavolo, quello che sulla Libia esercita un’influenza che non ha eguali. E che ora più che mai può far la differenza e il gioco di Roma.

PARTENZA IN SALITA

La notizia dello stop della Corte di Giustizia europea agli hotspot in Albania raggiunge la presidente del Consiglio mentre è in procinto di salire sul volo di Stato che la condurrà a Istanbul. È l’ennesima battuta d’arresto al memorandum Roma-Tirana su cui la premier ha puntato moltissimo, ma che sin dal principio ha faticato a decollare. Meloni mastica amaro ma non è rassegnata a darsi per vinta, tutt’altro. Il disco rosso arrivato dal Lussemburgo per lei è solo «un pit stop, in attesa che il nuovo regolamento Ue sblocchi la partita». E intanto la presidente del Consiglio corre ai ripari per fermare altri tessere, evitando che si generi un rischioso effetto domino, potenzialmente rovinoso. Per questo è volata a Istanbul lasciandosi alle spalle la Tunisia appena 24 ore prima. Obiettivo arginare i numeri degli sbarchi di clandestini in arrivo dalla Libia, che, complice la situazione incandescente nel Paese spaccato in due come una mela, hanno ripreso a salire a ritmi vertiginosi, trainando i dati degli arrivi sulle nostre coste. Per ora l’aumento dei flussi lascia dormire al governo sonni tranquilli, attestandosi sotto il 10%. Ma la presidente del Consiglio è convinta che sarebbe un errore sottovalutare i segnali che arrivano da Tripoli restando mani in mano. E magari svegliarsi in agosto con numeri da capogiro, un rischio da cui tenersi alla larga.

Nell’incontro a palazzo Dolmabahçe, presente anche il numero uno dei servizi segreti turchi Ibrahim Kalin, i tre leader hanno discusso «una serie di linee d’azione per combattere le reti criminali internazionali di trafficanti di esseri umani, migliorare la prevenzione dei movimenti irregolari e sostenere la Libia nella gestione della pressione migratoria cui è sottoposta», scrive Palazzo Chigi nella nota diffusa a stretto giro dalla fine del vertice. Il modello di riferimento è quello turco, basato su tre pilastri: scambio di informazioni, collaborazione tra forze di polizia, azioni per prevenire le partenze dei barconi o per intercettarli e stanarli prima che giungano a destinazione. I numeri la dicono lunga e fotografano una strategia che sta dando frutti: a giugno 2025 sulle nostre coste sono arrivati dalla Turchia appena 424 irregolari a fronte dei 908 sbarcati alla stessa data di un anno fa. Un modello da replicare in Libia, contando sull’aiuto e il sostegno di Erdogan. Lo scambio di informazioni e dossier operativi inizierà già a partire da martedì prossimo, spiegano fonti al lavoro sul dossier, confermando la «piena sintonia della cooperazione».

Durante l’incontro, durato circa due ore, è stata affrontata anche la drammatica situazione nella Striscia di Gaza, con Erdogan che è tornato a ribadire come l’unica «soluzione duratura» risieda nella «creazione di uno Stato di Palestina sovrano, indipendente e geograficamente integrato, basato sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale».


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