19.05.2025
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Politics

Centrodestra in pressing: «Misure cautelari, si cambi»


ROMA Il campanello d’allarme l’ha fatto suonare il caso Toti. Che però, è il ragionamento che ormai da settimane corre nella maggioranza, è solo la punta dell’iceberg. Come il governatore ligure, sono migliaia i cittadini a cui è stata sospesa la libertà pur essendo ancora in attesa di una sentenza, anche solo di primo grado. Più di 16mila, secondo gli ultimi numeri del Consiglio d’Europa, quelli che affollano i penitenziari già al collasso perché stanno scontando non una condanna, ma una misura cautelare. Ecco perché il centrodestra, per «limitare gli abusi», ora vuole passare ai fatti. Mettendo mano a una riforma della carcerazione preventiva che ne limiti l’applicazione ai casi indispensabili. E che preveda paletti più stringenti per circoscriverne la durata, che nei casi più gravi (cioè per i reati per cui è previsto l’ergastolo) oggi può raggiungere i sei anni.

IL DDL

È la strada indicata da Carlo Nordio nell’intervista di ieri al Messaggero: per alleggerire il sovraffollamento dei penitenziari, è la tesi del ministro della Giustizia, la soluzione non è uno svuotacarceri. No: bisogna abbassare il numero di chi dietro le sbarre spesso non dovrebbe neanche finirci (la metà di quei detenuti, per Nordio, finisce per essere assolta o vedersi la pena sospesa). A via Arenula si sono già mossi per arginare il fenomeno: nel ddl divenuto legge poche settimane fa si prevede che la custodia cautelare in carcere sia disposta non più solo dal gip, ma da un collegio formato da tre giudici. Non solo: prima di dare l’ok alla misura cautelare, il giudice dovrà ascoltare l’indagato in contraddittorio. Un cambio di passo che, quando la norma andrà a regime, per il Guardasigilli contribuirà a far invertire il trend delle carcerazioni preventive.

La maggioranza però vuole di più. Forza Italia in testa, che ha già messo in cascina un paio di proposte in questo senso. E alla vigilia del “tour” agostano nei penitenziari dello Stivale che verrà annunciato questa mattina, chiede al ministro di convocare un tavolo per discutere una revisione a largo raggio (con l’eccezione dei reati violenti e di maggior allarme sociale come mafia e terrorismo).

Diverse le ipotesi al vaglio. La prima – e più dirompente – ricalca in sostanza uno dei quesiti referendari che non raggiunsero il quorum due anni fa: cancellare il pericolo di reiterazione del reato dall’elenco delle condizioni con cui può essere motivato il carcere preventivo. Che quindi resterebbe in piedi solo in caso di pericolo di fuga o inquinamento delle prove. Anche perché, è il ragionamento, si tratta della casistica che più si presta a possibili abusi da parte dei magistrati.

IL CORTOCIRCUITO

Come dimostra – sempre secondo la maggioranza – il caso Toti. Un problema sollevato tra gli altri dal deputato Davide Bellomo, esponente leghista in commissione Giustizia. Convinto che, visto che il mantenimento della custodia cautelare per Toti per quasi tre mesi è stato giustificato dai giudici col fatto che fosse ancora presidente (e che quindi in virtù di quella carica, avrebbe potuto ripetere il reato), le norme attuali si prestano a un cortocircuito, almeno per quanto riguarda gli amministratori pubblici. «Questa situazione evidenzia un problema di automatismo nell’applicazione delle misure cautelari – fa notare Bellomo – che potrebbe compromettere l’equità e l’imparzialità del sistema giudiziario». Per questo, per il leghista, una riforma della custodia cautelare «è urgente».

Un’altra strada l’ha indicata il forzista Tommaso Calderone, capogruppo azzurro in commissione Giustizia. Eccola: limitare a due mesi il massimo di carcerazione preventiva se motivata col pericolo di reiterazione del reato. Formula che, per Calderone, «dà ai magistrati un potere infinito» e consente «nel 99% dei casi di trasformare la misura cautelare in pena anticipata». Se dopo 60 giorni non emergono nuovi «atti o fatti concreti», l’indagato torna in libertà. Anche dentro FdI (dove pure non mancano i dubbi sull’opportunità di aprire un possibile nuovo fronte con i giudici) c’è chi punta a rivedere il sistema. Una proposta l’ha formulata il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. Secondo cui il pericolo di fuga dev’essere non soltanto adombrato, ma dimostrato. Così come il rischio di reiterare il reato: devono esserci precise condotte che vadano in quella direzione. Al netto di quale sarà lo strumento, la volontà politica c’è. E anche il Guardasigilli, assicura chi ci lavora a stretto contatto, non esclude di rimettere mano al sistema con un’autonoma iniziativa. Magari con un ddl Nordio bis.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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