21.10.2025
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Politics

«Capolista in Veneto in ogni provincia»


ROMA L’investitura ufficiale avviene nel PalaGeox di Padova, a sera, ed è quasi liberatoria, almeno a sentire Matteo Salvini: «Che battaglia, che fatica, quanti giorni, sere e tavoli e notti». Insieme al vicepremier, al fianco di Alberto Stefani, il giovane segretario della Liga Veneta candidato alla guida della Regione, c’è anche Luca Zaia. Una circostanza che trasforma, inevitabilmente, l’avvio della campagna elettorale in una celebrazione in onore del quindicennio di governo del Doge. Che, alla fine, si prende la scena: «Mi dicono che sono un problema: quindi, parlandone con Alberto ho solo una soluzione: mi candido capolista in tutte le province».

LA SFIDA

Nel Gran Teatro di Padova non manca nessuno: ci sono ministri, sottosegretari, parlamentari, incluso il presidente della Camera Lorenzo Fontana. «Saremo tremila». Un primo indizio che si somma alle parole del segretario della Lega, che interviene per secondo, dopo il sindaco di Treviso: «Fa tremare le gambe fare il governatore dopo Luca Zaia», incoronandolo il migliore governatore d’Europa. Ma è nell’augurio che il Carroccio, a novembre, sia «coraggiosamente il primo partito della Regione», che Salvini anticipa implicitamente la scelta del governatore di scendere in campo. Ipotesi ventilata, certo, ma mai data per scontata. Anche perché, il Doge non avrebbe gradito il trattamento riservatogli dal vicepremier che, fino all’ultimo, l’ha tenuto a «bagnomaria». Ancora ieri, raccontano i beninformati, i due non avrebbero avuto scambi prima della sortita a Padova.

La candidatura, di certo, drenerà consensi alla Lega, ma permetterà anche a Zaia di negoziare, con più forza, il suo futuro politico. L’obiettivo di lungo termine resta un posto nel governo, se le elezioni del 2027 incoroneranno di nuovo Giorgia Meloni. Con cui, il governatore manterrebbe un filo diretto (non è detto che un nuovo incontro non avvenga già la prossima settimana, quando sarà a Roma per degli impegni). Ma a stretto giro, per Zaia, sono pronti anche una serie di piani B: la corsa a sindaco di Venezia; la candidatura alle elezioni suppletive per subentrare al posto di Stefani alla Camera nel collegio di Rovigo. Oppure, un posto di prestigio, all’Eni, in qualità di presidente. Anche il candidato in pectore, alla fine, rivolge un tributo al governatore uscente: «Se sono qui stasera devo ringraziare Lorenzo Fontana e Matteo Salvini che hanno creduto in me e Luca Zaia che è il vero motivo per cui mi sono iscritto alla Lega nel 2009», rimarca Stefani, che lancia dal palco pure una «rivoluzione di stile», «di chi non prova odio, violenza»: «Non mi sentirete mai parlar male degli avversari».

LA SALITA

L’esito atteso dalle urne, si sa, è scontato. Ma questo non vuol dire che per l’enfant prodige leghista si prospetti ora una strada tutta in discesa. I primi a spendersi per il futuro governatore non saranno di certo i meloniani, ancora scottati per la perdita della guida della Regione: «Il candidato è il loro, ora conducano loro la partita». Con un finale già scritto, l’obiettivo per ognuno sarà giocare per il proprio partito. Competition is competition. Anche a destra. Insomma, la «generosità» (copyright di Luca De Carlo) dimostrata da Fdi per la presidenza, difficilmente, perdurerà a lungo. Già destinati a Fdi, da intese, ci sarebbero cinque assessorati di peso, tra cui Bilancio e Agricoltura. Ma pure nomine nelle partecipate regionali. Da sommare al computo di consiglieri regionali che, il partito di Meloni — ormai il primo in Veneto, con il triplo dei consensi rispetto al Carroccio — punta a far entrare in Consiglio. Uno scenario, in cui i margini di manovra per il futuro governatore leghista potrebbero essere più ristretti. Prima ancora delle vicissitudini che attendono il nuovo inquilino di Palazzo Balbi, la Lega è preoccupata dell’esito delle urne. La sfida è impedire un nuovo “effetto Toscana”, l’emorragia interna di consensi, e il tallonamento a destra degli alleati. Un epilogo che, a differenza del caso toscano — dove a far da parafulmini è stato Roberto Vannacci — chiamerebbe in causa direttamente Matteo Salvini e riaprirebbe il dibattito interno al partito, soprattutto nell’ala nordista. La suggestione più forte è quella di impostare la Lega su assetto simile a quello del Csu/Cdu tedesco. Una tesi avanzata da Zaia durante Pontida, ma pure da Massimiliano Romeo durante l’ultima riunione regionale in Lombardia: un modo, aveva spiegato in quella circostanza il capogruppo leghista per «conciliare le esigenze della Lega nazionale con la salvaguardia dei territori». In pratica, una vera e propria corrente nordista all’interno del Carroccio, che forse avrà bisogno anche di un proprio leader di riferimento. Quel che è certo, è che le elezioni del 23-24 novembre, qualunque sia l’esito, rappresenteranno l’inizio di una nuova epoca.

Valentina Pigliautile

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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