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Borse mediorientali in rialzo dopo l’attacco Usa all’Iran, anomalia o attesa? Perché e cosa sta accadendo


La maggior parte dei mercati azionari del Golfo, così come quello israeliano, hanno chiuso la settimana in rialzo nonostante gli attacchi Usa ai siti nucleari iraniani. L’escalation di tensione nella regione ha di fatto lasciato indenni, anzi spinto al rialzo, le quotazioni dei principali indici delle piazze mediorientali.

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L’indice di riferimento dell’Arabia Saudita è salito dello 0,3%, spinto dal +0,7% del più grande istituto di credito del Paese, la Saudi National Bank. La Borsa del Qatar registra un guadagno dello 0,2% e sono in lieve rialzo anche anche Kuwait e Oman. L’indice di riferimento dell’Egitto è salito di oltre il 2%, mentre quello di Tel Aviv guadagna circa l’1%, raggiungendo il suo massimo storico. Fino a che punto è un’anomalia? «È certamente un po’ sorprendente vedere i titoli azionari regionali ignorare con relativa facilità gli attacchi degli Stati Uniti all’Iran, con le perdite iniziali che si sono ridotte in tempi relativamente rapidi», secondo Michael Brown, Senior Research Strategist di Pepperstone, citato da Reuters. Secondo Brown, i mercati avevano già scontato la probabilità di un attacco da parte degli Stati Uniti e gli investitori avevano già previsto una risoluzione più rapida del conflitto dopo gli eventuali attacchi.

L’attenzione delle Borse

L’attenzione del mercato è rivolta alla possibilità che la guerra si estenda ad altre nazioni della regione, ma al momento non vi è alcun segno che ciò accada, ha aggiunto. Certo, se si chiudesse davvero lo Stretto di Hormuz, la reazione dei mercati potrebbe colpire anche qui. Lo stretto è cruciale per i traffici energetici mondiali. Un suo blocco, paventato dall’Iran nel quadro delle tensioni in Medio Oriente, rischia di far impennare i prezzi di petrolio e gas, con gravi ripercussioni su economie e mercati globali, in particolare europei.

IL RATING

Già nei giorni scorsi gli analisti di S&P Global avevano puntato il dito sui rischi, pesando la situazione di Israele senza raffinerie attive. Con una o entrambe le raffinerie in panne, l’aumento delle importazioni potrebbe mettere sotto pressione le infrastrutture portuali e la logistica degli oleodotti. I porti di Ashkelon, Ashdod e Haifa forniscono punti di accesso per le petroliere, ma i terminal potrebbero incontrare difficolta a causa della congestione e dello spazio di attracco limitato, affermano gli analisti. Una nota di S&P Global Ratings pubblicata sulla Borsa di Tel Aviv mercoledi afferma che il sito di Ashdod potrebbe avere difficoltà a sostenere le importazioni per compensare la chiusura di Haifa, creando rischi per l’approvvigionamento anche con una sola raffineria inattiva.

Secondo i dati di Kpler, le importazioni di prodotti petroliferi ad Ashdod si sono in genere attestate intorno ai 25.000 barili al giorno durante la ripresa dell’attività. I volumi non hanno mai superato il picco di 87.000 barili al giorno registrato a dicembre 2023. Inoltre, l’oleodotto che va da Ashkelon a Haifa e solo unidirezionale, lasciando l’intera regione priva di infrastrutture per supportare le consegne dei prodotti mentre il sito e inattivo. Mentre lavora per ripristinare urgentemente la produzione, il governo israeliano ha affermato di avere scorte sufficienti a coprire il suo fabbisogno energetico. I rappresentanti degli operatori di stoccaggio regionali, tra cui Paz, PEI ed EAPC, non erano disponibili a rilasciare dichiarazioni sui volumi di inventario.

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