Alle Olimpiadi di Londra, 2012, Mara Navarria scoprì di essere incinta. Alle Olimpiadi di Parigi 2024, l’altra sera, in un Grand Palais gremito di ottomila francesi scatenati, Samuele, 11 anni, era lì a saltare felice e ad applaudire sua madre, che aveva appena vinto l’oro nella spada a squadre con Rossella Fiamingo, Giulia Rizzi e Alberta Santuccio. Mara Navarria è la capitana e a 39 anni è una supermamma d’oro oltre che «una campionessa», come la definiscono semplicemente tutti, compagne e tecnici. Per questo, entrando nella finale con la Francia da riserva, e con la delusione di non aver partecipato alla gara individuale, è riuscita a piazzare le stoccate della rimonta, che poi hanno condotto al trionfo. Tutta una carriera condensata in pochi minuti, con l’happy end e la dissolvenza finale sul pargolo plaudente e orgoglioso: da film. Perché subito dopo l’eroina annuncia il ritiro e il suo ingresso nella vita senza sport.
E adesso, Mara, che farà?
«Chiudo con la scherma, ecco tutto. Avevo iniziato qui al Grand Palais, con la mia prima gara internazionale nel 2010, e qui finisco. C’è un senso, in questa cosa, e mi piace un sacco terminare così. Con una doppia medaglia al collo».
Oltre all’oro in pedana, qual è l’altra?
«Mio figlio che era qui in tribuna felice. E io lo ero per lui, e magari anche per tutti i suoi amici. Forse la mia storia può insegnare loro qualcosa, e aiutarli nella vita. Samuele applaudiva sua madre che è nata in un paesino in provincia di Udine, Carlino, ed è arrivata fin quassù, e mio figlio ne era orgoglioso e felice. Si vede che tutto è possibile, se ci si crede. In tribuna c’era anche il mio colonnello dell’Esercito: non l’ho mai visto saltare così in vita mia».
La maternità è dunque conciliabile con lo sport? Anche se lei è un caso raro: mamma atleta e medaglia d’oro con un figlio già grandicello, di solito i figli delle atlete sono molto più piccoli.
«Sì al punto che non mi è servita affatto la nursery al Villaggio, che è comodissima ed è una grande idea di queste Olimpiadi. Ci ho visto tante mamme coi figli piccoli ed è stato bello. Ho portato Samuele a fargliela vedere, ma lui se n’è voluto andare subito, ovvio. Però vorrei dire alle atlete di non aspettare la fine della carriera per fare figli: io sono l’esempio che si possono conciliare le due cose anche durante l’attività ai massimi livelli».
Come ha fatto a entrare con quell’intensità in pedana, e nel momento più duro?
«L’esperienza, e un po’ di carica per la delusione di non aver partecipato all’individuale: ho accettato la scelta del ct Chiodà, ma non vuol dire che mi fosse piaciuta. Poi l’allenamento al rumore. Non ho sentito il frastuono del pubblico, se vuole saperlo non sentivo proprio niente, mi ero estraniata, le orecchie tappate, dentro avevo il silenzio: ci eravamo preparate anche con gli altoparlanti che sparavano il coro “Allez les Bleus”, non avevamo tralasciato niente. E battere i francesi in casa, loro che per la scherma sono pazzi e hanno il doppio degli iscritti in federazione rispetto a noi, è stato il massimo. E il Gran Palais è stato il luogo più giusto per farlo: è il tempio della loro scherma. In una finale olimpica, poi: ce ne ricorderemo tutti»
Cosa vede nel suo futuro?
«Il mio futuro è già iniziato da un po’. Nel senso che da tempo ho capito che ho dato tanto al mio sport, e cominciavo a guardarmi intorno. Il mondo là fuori mi attrae molto e voglio tuffarmici, ho tanti progetti. Sono laureata in Scienze motorie ma voglio prendere un master, magari esplorare altre realtà, come quella del marketing o della comunicazione. Tutto è possibile. Nello sport e anche là fuori, nel mondo».
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