Sono ore di trattative frenetiche tra il governo e l’Unione europea sul dossier balneari. Si va verso una proroga della maggior parte delle concessioni fino al 30 settembre 2027, con i Comuni che possono però aprire gare pubbliche a tutti gli operatori continentali anche prima di quella data. E ancora: nessun diritto di prelazione, cioè vantaggi nei bandi, ai vecchi gestori e indennizzi in base agli investimenti fatti negli ultimi cinque anni. Un compromesso che potrebbe non vedere la luce oggi in Consiglio dei ministri, in un decreto ad hoc o in un più ampio testo “Salva infrazione Ue”.
Nell’ordine del giorno del cdm, infatti, non compare alcun riferimento alla misura. Sintomo, forse, di difficoltà a chiudere la trattativa con Bruxelles, soprattutto sugli indennizzi. Difficoltà che costringerebbero a slittare alla prossima riunione del governo. L’ultima parola si avrà però solo stamattina nel pre-consiglio dei ministri. Intanto ieri il telefono del ministro degli Affari Ue, Raffaele Fitto, ha squillato in continuazione. Quello che presto dovrebbe diventare uno dei nuovi commissari europei è stretto tra varie richieste. Da una parte il pressing della Commissione Ue, che spinge per applicare subito la direttiva Bolkestein, lettera morta in Italia dal 2006, e mettere a gara le concessioni. Dall’altra i balneari, sorretti per lo più da Lega e Forza Italia: chiedono garanzie sul fatto che in molti non perdano gli stabilimenti o abbiano cospicui risarcimenti. Nel mezzo la premier Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, che vogliono trovare una soluzione intermedia che non faccia irritare troppo nessuno e freni le polemiche delle opposizioni.
LE TEMPISTICHE
Né quindi contro i balneari, da sempre vicini al centrodestra, né contro Bruxelles, vista la partita contemporanea del portafoglio da assegnare a Fitto con annessa possibile vicepresidenza nell’esecutivo europeo. Anche perché bisogna evitare che la procedura di infrazione Ue prosegua con il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia europea. Procedimento che può sfociare in multe da centinaia di milioni di euro.
L’ipotesi dei giorni scorsi di una proroga di tutte le concessioni fino al 2029, soluzione inaccettabile per Palazzo Berlaymont, è oramai del tutto tramontata. Le concessioni, attualmente in regime di proroga (quindi la stragrande maggioranza), verrebbero ulteriormente estese fino al 30 settembre 2027. Termine che può slittare fino al 31 marzo 2028 in presenza di oggettive difficoltà tecniche che impediscano di fare le gare. Il limite entro il quale gli enti locali dovrebbero bandire le gare sarebbe fissato invece al 30 giugno 2027. I Comuni che vogliono farlo potrebbero però anticipare le gare. E in effetti, nell’incertezza normativa, in diversi da Nord a Sud sono già partiti con i bandi. Ma il diavolo, come si suol dire, sta nei dettagli. Anche solo una virgola nel testo definitivo potrebbe spostare gli equilibri o “a favore” dei balneari o dell’Ue, che comunque non è detto accetti una nuovo slittamento al 2027. È vero, non si tratterebbe tecnicamente di una proroga automatica, generalizzata e ineludibile, ma la forma non cambia molto la sostanza, più volte bocciata dai tribunali italiani e continentali.
I PAGAMENTI
Le nuove concessioni avrebbero una durata dai 5 ai 20 anni. Il Comune dovrebbe comunicare un’eventuale mancata suddivisione in lotti e precisare il numero massimo di quelli aggiudicabili a un solo offerente. Una clausola che per il governo può aiutare le microimprese. Sempre a favore delle pmi italiane, poi, nei bandi di gare potrebbero essere valutati: la corrispondenza degli impianti alle tradizioni locali e l’offerta di servizi che valorizzano i territori; l’esperienza professionale in attività simili; l’essere stati titolari nei cinque anni precedenti di una concessione come fonte di reddito prevalente; il numero di lavoratori che l’offerente vuole assumere dall’operatore uscente; il numero di concessioni di cui si è già titolare nel territorio (penalizzando chi ne ha di più).
Come detto, poi, non ci dovrebbe essere alcun diritto di prelazione per i vecchi concessionari, a differenza di quanto aveva auspicato il vicepremier Matteo Salvini. Il principale nodo della matassa rimane quello degli indennizzi a favore dei gestori che perdono la concessione. Il governo sembra aver strappato a Bruxelles il fatto che a pagarli siano gli operatori entranti e non lo Stato (costerebbe oltre 10 miliardi), anche se la direttiva Ue vieta ogni vantaggio ai vecchi gestori. Per le associazioni di categoria i rimborsi dovrebbero essere corposi, tenendo conto del valore aziendale. Una delle ultime bozze del provvedimento governativo prevede però che siano calcolati «sul valore dei beni ammortizzabili e non ancora ammortizzati e sull’equa remunerazione degli investimenti (a esito di una perizia asseverata), limitata agli ultimi cinque anni».
Potrebbe significare cifre più basse rispetto a quelle che si attendono gli imprenditori, a partire da quelli che hanno innovato poco o nulla nelle loro strutture. In ogni caso, poi, per la Corte di Giustizia Ue, alcune opere, come spogliatoi, piscine e bar, possono essere acquisite dallo Stato senza alcun rimborso.
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