12.05.2025
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Politics

Autonomia in autunno, sulle funzioni da cedere potere di veto a Meloni


La partita dell’Autonomia differenziata partirà presto. Prima del previsto. Probabilmente in autunno, dati i tempi tecnici. Ma non sarà un percorso semplice e, probabilmente, nemmeno del tutto lineare. Per decidere sulle materie da trasferire ci vorrà tempo. Quello che accadrà nei prossimi mesi sarà una sorta di “stress test” tra il governo centrale e quello regionale. Ci sarà da trovare un equilibrio tra le pressioni dei governatori e la volontà di mantenere all’amministrazione centrale, e dunque a Roma, una parte importante delle prerogative. Partiamo dal fronte leghista. Matteo Salvini difende a spada tratta il progetto, e lo fa con la tesi che l’arretramento delle regioni del Sud dipende proprio dal centralismo statale. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, e quello della Lombardia, Attilio Fontana, hanno già fatto sapere che non appena il disegno di legge Calderoli sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, chiederanno al governo l’apertura del tavolo delle trattative per il trasferimento delle prime competenze da Roma verso Milano e Venezia. Delle 23 complessive che possono chiedere, al momento ne potranno ottenere al massimo nove. Quelle cioè alla cui base non c’è un Lep, un livello essenziale di prestazioni, che deve essere garantito, e dunque finanziato, anche in tutte le altre Regioni prima di poter essere trasferito. Cosa potranno chiedere allora? Materie come la gestione dei giudici di pace, la protezione civile, le professioni, la previdenza integrativa, il commercio con l’estero, i rapporti interni della Regione con l’Ue e il coordinamento della finanza pubblica. Non è poco.

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Ma c’è un punto che fino ad oggi è sfuggito al dibattito. Il vecchio progetto autonomista era stato interpretato come una sorta di diritto ad ottenere le materie richieste. La legge approvata dalle Camere invece, introduce soltanto un diritto a chiedere le materie. Ottenerle è tutto un altro paio di maniche. Grazie agli emendamenti voluti da Fratelli d’Italia e da Forza Italia, è stato assegnato un forte potere di veto al Presidente del Consiglio e, dunque, a Giorgia Meloni.

IL PASSAGGIO

«Al fine di tutelare l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie», spiega il comma due dell’articolo due della legge quadro sull’autonomia, «il Presidente del Consiglio dei ministri, anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dei Ministri competenti per materia, può limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell’atto di iniziativa». Proviamo a chiarire. Zaia, Fontana o qualsiasi altro Presidente di Regione, potranno chiedere al governo di trattare, per esempio, il trasferimento delle competenze in materia di commercio con l’estero.

Per esempio per avere i poteri per sostenere le esportazioni delle proprie imprese verso alcuni mercati. Ma Antonio Tajani, ministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, potrebbe chiedere a Meloni di sottrarre questa materia, o alcuni pezzi di essa, dal tavolo delle trattative. Il Presidente del consiglio potrebbe deciderlo anche direttamente, senza nessuna sollecitazione particolare.

IL COORDINAMENTO

Lo stesso vale, ed è probabile che accadrà, anche per il coordinamento della finanza pubblica. Difficile immaginare che una materia che per definizione è di competenza del ministero dell’Economia, possa essere trasferita a qualche struttura periferica. O per i giudici di pace, funzione oggi esercitata dal dicastero della Giustizia guidato da Carlo Nordio. Per capire come si muoveranno Palazzo Chigi e i ministeri, sarà necessario attendere le richieste delle Regioni. Ci vorrà ancora un po’ prima che arrivino. Una volta pubblicata la legge in Gazzetta Ufficiale, le Regioni dovranno deliberare in base ai loro statuti la richiesta di autonomia da inviare al governo. L’atto poi deve essere trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie che, acquisita entro sessanta giorni la valutazione dei ministri competenti per materia e del ministro dell’economia e delle finanze eventualmente per le coperture, avvia il negoziato con la Regione richiedente. Se i pareri non arrivano nei tempi stabiliti, il tavolo delle trattative parte comunque. Prima dell’avvio del negoziato il Presidente del consiglio dei ministri o il ministro per gli affari regionali e le autonomie da lui delegato deve informare le Camere e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato che il negoziato è partito. Non è detto insomma, che le Regioni possano fare, per usare un termine del poker, un “all in” e ottenere tutto ciò che chiederanno. Toccherà, come detto, a Giorgia Meloni trovare un equilibrio tra le richieste delle Regioni e le ragioni della Capitale.

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