17.05.2025
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Economy

Automotive, piano del governo per rivedere i target green Ue. Lo stop alle auto a benzina nel 2035 può saltare?


Anticipare la revisione del regolamento Ue sulla riduzione dell’inquinamento, che prevede lo stop alla vendita delle auto a benzina e diesel dal 2035. Con l’obiettivo di posticipare i target di medio periodo del Green Deal, visto che il mercato dell’elettrico ancora non decolla, puntando nel frattempo su biocarburanti e motori a combustione.

Il governo ci lavora, con i ministri dei trasporti e delle Imprese, Matteo Salvini e Adolfo Urso, in prima fila. Entrambi cercano sponde politiche in Europa (dove è già arrivata l’apertura dell’Ungheria, presidente di turno del Consiglio Ue, e della Repubblica Ceca), ma anche il consenso della filiera dell’auto europea ed italiana (Acea e Anfia sono già d’accordo), oltre che dei sindacati. Lunedì Urso presenterà al Mimit una proposta complessiva sulla politica industriale europea nel settore proprio ai rappresentanti di aziende e sigle sindacali italiani, per poi portare il piano a Bruxelles tra mercoledì e giovedì prossimo, quando si terrà il Consiglio competitività dei 27 omologhi Ue. Il fulcro della proposta sarà proprio questa possibile revisione dei target. Compreso l’obbligo di Euro 7 per le immatricolazioni da luglio 2025. Con un obiettivo chiaro: capire subito se si deve andare avanti o meno con la strategia ambientalista e, se venisse confermata, prevedere un nuovo fondo Ue miliardario per sostenere le case automobilistiche nella transizione e abbassare il costo delle auto green.

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LA STRETTA NEL 2025

Ieri Salvini ha già anticipato la proposta a Budapest, durante il consiglio informale dei ministri europei dell’Interno. Il ministro ha detto che «è ormai evidente a tutti che il solo elettrico non funziona», invocando «più cautela su nuove tasse europee come l’Etd e l’Ets marittimo». Nel 2025 l’Unione europea inasprirà gli obiettivi di riduzione di emissione di anidride carbonica per i produttori di automobili. Tra autovetture e veicoli commerciali leggeri, le emissioni medie delle auto nuove dovranno calare del 17-19%. Altrimenti scatteranno multe da centinaia di milioni. Tra i grandi gruppi c’è addirittura chi parla di sanzioni per 15 miliardi complessivi.

Il regolamento Ue per auto e veicoli leggeri prevede poi una clausola di revisione nel 2026 (per quelli pesanti nel 2027), in cui si fa il punto della situazione valutando gli obiettivi in base al mercato dell’auto elettrica o ibrida. Mercato che, al momento, non dà risposte positive. In tutta l’Ue le immatricolazioni delle auto elettriche ad agosto sono scese in un anno del 43,9% (del 40,9% in Italia), con una quota di mercato totale che è crollata al 14,4% dal 21% del 2023. Non va molto meglio per le ibride. Costi ancora troppo elevati, dicono le case automobilistiche, ma soprattutto ad essere debole, complice l’inflazione, è la domanda, visto che un’auto elettrica costa in media il 30-40% in più di una a benzina o diesel e la classe media si sta impoverendo. Il settore si dice in crisi. Dopo Volkswagen, che ha in vista pesanti tagli della forza lavoro, la chiusura di una fabbrica Audi a Bruxelles e il taglio dei target di Bmw, è la volta di Mercedes Benz: l’azienda ha abbassato per la seconda volta in due mesi le stime per il 2024.

IL CASO ITALIA

Urso sta contattando diversi ministri Ue (già sentiti gli omologhi spagnolo e austriaco) per cercare un’ampia convergenza sulla proposta italiana. In Europa, però, c’è l’opposizione di metà della maggioranza che sostiene la commissione di Ursula Von der Leyen: socialisti, Verdi e parte di popolari e liberali spingono per non arretrare sugli obiettivi green vista l’accelerazione evidente dei distruttivi cambiamenti climatici. Un compromesso si potrebbe trovare attorno alla previsione di un nuovo fondo Ue per sostenere le case automobilistiche. In Italia, nel frattempo, Stellantis si dice pronta a rispettare almeno i target per il 2025 previsti dal regolamento europeo. I sindacati, Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, visto il calo delle commesse, le delocalizzazioni, i ritardi sulla gigafactory di Termoli e i timori sull’occupazione a Mirafiori e Melfi, chiedono però al governo di rendere vincolanti gli impegni assunti dall’azienda sui nuovi modelli.

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