La competizione cinese è sempre di più il grande ostacolo da affrontare per il settore auto. L’Europa è in ritardo di 10 anni rispetto a Pechino, sia sull’auto elettrica che sugli Adas, i sistemi di assistenza alla guida in in un contesto in cui sempre più consumatori sono disposti a considerare modalità di trasporto autonomo condiviso. E allora se queste sfide non troveranno una risposta efficace, dice McKinsey, l’industria dell’automotive Ue rischia di bruciare ben 410 miliardi di dollari di valore entro il 2035. E non è poco considerando che l’industria automobilistica è stata una roccaforte dell’economia europea per decenni, prima di affrontare la crisi della mobilità elettrica. Nel 2023, l’industria ha contribuito con 1,9 trilioni di dollari in valore aggiunto lordo (VAL), l’8% del Pil Ue, con esportazioni di tecnologia e automobili che hanno creato 620 miliardi di valore.
L’avvertimento arriva dall’ultimo studio della società di consulenza americana che ha analizzato a fondo le difficoltà del settore automobilistico globale, comprese quelle dell’Italia, dove negli ultimi vent’anni si è assistito a un calo significativo della produzione: da quasi 1,5 milioni di veicoli prodotti nel 2000 si è passati a circa 500.000 nel 2023. Con uno scenario di ulteriore riduzione a breve, con potenziali ricadute sull’intera filiera automotive nazionale. E allora numeri e proiezioni dicono chiaramente per McKinsey che la soluzione non sarà solamente legata a risolvere le singole sfide tecnologiche di mercato. Va ringiovani l’industria automotive europea con nuovi talenti e competenze che consentano di creare e far crescere dei cosiddetti “disruptor” europei.
I NODI
Il punto di partenza per gli esperti, è l’ultimo allarme lanciato da Volkswagen che si prepara a chiudere tre fabbriche. Ebbene, secondo McKinsey si tratta «solo della prima ondata». «Se le sfide del settore non troveranno una risposta efficace, il valore aggiunto lordo per il settore automotive europeo potrebbe diminuire del 36% nello scenario più “disruptive” in cui le società emergenti di veicoli elettrici rimodellano in modo significativo i mercati europei, per un valore complessivo, appunto, di oltre 410 miliardi di dollari», ha spiegato ieri nel suo intervento al Quattroruote Next Michele Bertoncello, partner di McKinsey.
La quota di mercato interno in mano ai produttori europei potrebbe scendere quindi al 45% nel 2035, dal 60% circa nel 2023, con la quota di mercato all’estero della regione europea che scenderebbe al 7%, dal 12%, nello stesso periodo. Tra gli altri cambiamenti, l’Europa potrebbe produrre dal 20 al 25% in meno di automobili, con le esportazioni in calo del 40% e le importazioni in aumento di altri 1,2 milioni di automobili. Lì dove le perdite finirebbero per distribuirsi trai produttori e i loro fornitori di primo livello.
Il punto è che alcuni produttori cinesi di veicoli elettrici possono sviluppare veicoli due volte più velocemente degli big europei e a un costo inferiore del 20-30%. Inoltre, la Cina domina le principali catene di fornitura di materiali per batterie in regioni come l’Africa e l’Indonesia e rappresenta il 90% della capacità mondiale di produzione di litio, un metallo fondamentale per la produzione di batterie per veicoli elettrici.
Ecco perché la situazione va affrontata «innervando l’industria di nuovi talenti e competenze» dagli Adas (Advanced Driver Assistance System) alla connettività, dai carburanti sostenibili all’elettrificazione. Un rimedio possibile ai ritardi accumulati negli anni rispetto all’attivismo cinese, che non solo ha conquistato i consumatori di auto cinesi, ma da tempo sta guadagnando pezzi di mercato tra i consumatori Ue.
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