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Auto cinesi, arrivano i dazi Ue tariffe fino al 35% per le elettriche


È il giorno dei dazi contro le auto elettriche cinesi. Nella tarda mattinata di oggi i rappresentanti dei governi dei 27 Stati Ue, riuniti a Bruxelles, andranno alla conta per adottare in via definitiva i prelievi compensativi proposti tre mesi fa dalla Commissione sull’importazione dei veicoli a batteria “made in China”, la cui filiera è accusata di fare concorrenza sleale alle e-car europee per via dei generosi sussidi pubblici riconosciuti dalla Repubblica popolare. Secondo quanto si apprende a Bruxelles, il voto non dovrebbe riservare sorprese: si va verso l’approvazione delle tariffe, fino a un massimo di circa il 35% del prezzo dell’auto (una lieve sforbiciata rispetto all’ipotesi iniziale).

IL MECCANISMO

I dazi si applicheranno a partire da novembre per una durata iniziale di cinque anni rinnovabili, e si aggiungono al 10% già esistente per le auto importate nell’Unione. E ciò nonostante qualche tentato blitz dell’ultima ora e l’incertezza su come si posizionerà alla fine la Germania: per bloccare il passaggio dei dazi serve, infatti, che la maggioranza qualificata degli Stati membri voti contro, cioè ben 15 governi in rappresentanza perlomeno del 65% della popolazione Ue. Ma tra i “big” Ue dovrebbero confermare il sì alle misure l’Italia — che non ha mai fatto mistero del sostegno, pur non entusiasta delle tariffe in quanto Paese esportatore -, Francia e Polonia. Chi ha cambiato idea tra luglio (quando i governi ebbero un primo confronto) e oggi è, invece, la Spagna. Complice la visita di Stato che, nel frattempo, il premier Pedro Sánchez ha compiuto in Cina, durante la quale aveva espresso dubbi sulla proposta e invocato una soluzione di compromesso. Madrid teme la vendetta di Pechino sulle importazioni di carne di maiale dall’Ue, su cui le autorità cinesi hanno già aperto un’indagine anti-dumping (altre due riguardano, invece, il cognac e i prodotti lattiero-caseari). L’astensione, strada che Berlino aveva scelto nella conta preliminare di luglio insieme ad altri 10 Stati e che potrebbero ripercorrere pure oggi, è considerata neutrale, poiché non contribuisce comunque al raggiungimento del quorum da parte dei no. Tra i contrari già usciti allo scoperto c’è l’Ungheria, determinata a bocciare «la pericolosa proposta dell’Ue di imporre tariffe punitive sulle auto elettriche cinesi», ha annunciato ieri il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, sottolineando che le principali case automobilistiche europee si oppongono al piano per i legami con il settore automotive cinese. Le voci del no hanno finora messo in guardia dagli effetti dirompenti di una guerra commerciale tra l’Europa e il gigante asiatico, il secondo partner dell’Unione in termini di scambi, il cui valore l’anno scorso è stato di 739 miliardi di euro; ma da Bruxelles si predica calma: i negoziati tecnici e politici con Pechino continueranno, infatti, anche dopo l’entrata in vigore dei dazi, alla ricerca di una soluzione compatibile con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio.

IL PERCORSO

Oggi i governi possono soltanto approvare o rigettare il regolamento, senza possibilità d’intervento per alterare i livelli di dazio. Le aziende che sono state oggetto di indagine da parte della Commissione sono Byd, Geely (che controlla la svedese Volvo) e Saic (che ha una joint venture con la tedesca Volkswagen e che dovrebbe vedersi applicare il prelievo più alto, intorno al 35%), ma i dazi si applicheranno a tutta la filiera cinese, comprese le sigle che non hanno collaborato all’inchiesta; Tesla ha chiesto il calcolo di un balzello ad hoc per le sue auto “made in China”, strappando il trattamento di maggior favore, con poco meno dell’8%. Il voto per validare le misure, ritardato già in due occasioni, deve tenersi per legge al più tardi entro ottobre.

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