Riccardo De Stefano sottolinea che già oggi «molte aziende rifiutano commesse e non fanno investimenti in macchinari, perché, in entrambi i casi, non hanno il personale necessario». Il delegato di Confindustria alla formazione e all’innovazione, già presidente dei Giovani industriali e imprenditore nel settore della componentistica, non sembra sorpreso dall’allarme lanciato ieri dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, secondo il quale, vista la bassa denatalità e «se mantenessimo i tassi attuali di occupazione, nei prossimi cinque anni avremmo una perdita di 700mila unità lavorative».
Il tema era stato posto lo scorso anno proprio dal leader di Viale dell’Astronomia, Emanuele Orsini. Aveva ricordato sia che nella metà dei casi le aziende faticano a trovare le figure professionali necessarie sia, soprattutto, che questa situazione presenta un conto molto salato all’economia, cioè 38 miliardi in meno tra minori produttività e bassi investimenti. Tanto da consigliare al governo di ampliare i flussi immigrati con 120mila unità in più all’anno e di rafforzare i protocolli di formazione, coinvolgendo sempre più le imprese e le università e gli Ets, anche all’estero. Cioè dove andare a cercare “nuovi italiani”.
Gli effetti della bassa natalità — nel 2024 il tasso di fecondità ha toccato gli 1,18 figli per donna, con appena 370mila nascite — sono già visibili in Italia. Se negli ultimi anni “la perdita” di alcune generazioni ha finito — paradossalmente — per dare una spinta alla crescita dell’occupazione, adesso mostra l’altra faccia della medaglia. La peggiore: cioè non mancano soltanto i giovani per sostituire chi va in pensione, ma mancano anche le competenze per svolgere i nuovi lavori. Il Centro Studi di Confindustria ha calcolato che il disallineamento — il differenziale tra domanda e offerta di lavoro, tra posti disponibili e figure che riescono effettivamente ad assumere — è salito al 48 per cento. Nel 2019, prima del Covid, la percentuale era del 33 per cento.
MODIFICHE
« Visto che è complicato assumere in un caso su due — ha aggiunto Di Stefano — abbiamo sottolineato al governo la necessità di perfezionare il decreto flussi, semplificando le procedure». Modifiche che, non a caso, l’esecutivo ha inserito nell’ultimo provvedimento ad hoc per esempio sulla digitalizzazione del contratto di soggiorno e la gestione delle domande di visto.
«Soprattutto in termini di cooperazione — segnala l’imprenditore — dobbiamo rafforzare il tanto lavoro già fatto sulla formazione all’estero, per esempio nei Paesi dove sono presenti scuole di diritto italiano, come quelle dei salesiani che hanno moltissimi presidi e formano decine e decine di studenti. Come l’Accademia Don Bosco in Ghana, inaugurata lo scorso anno dal presidente Sergio Mattarella, mentre siamo in prima linea per aprire il primo Ets al Cairo». Su questo fronte Confindustria e il governo lavorano assieme da anni a stretto contatto, con Viale Astronomia che ha aperto centri di formazione in una ventina di Paesi (tra i quali Egitto, Algeria, Marocco, Tunisia o Turchia) e sta dando supporto anche nel Piano Mattei. Spiega De Stefano: «Si fa formazione diretta oppure si certificano le competenze che sono presenti in loco, nel caso ampliandole, per poi portare nel nostro Paese quegli addetti che mancano».
In questo momento il sistema produttivo fa fatica a trovare circa 300mila figure — per la precisione 240mila laureati e 61mila diplomati — con formazione Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Il che crea ripercussioni soprattutto nella meccatronica. «Parliamo — spiega De Stefano — di ingegneri, esperti digitali, professionisti legati alla sostenibilità, cioè all’energia, e alle scienze della vita. Ma servirebbero anche molti più saldatori e c’è un gap di addetti anche nell’edilizia».
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