BRUXELLES — Quando si presenta davanti ai cronisti sul tappeto rosso dell’Europa Building sono passate le due del mattino, le palpebre faticano a rimanere su. «Ha prevalso il buonsenso» sospira Giorgia Meloni sfiancata da una maratona negoziale al Consiglio europeo da Guinnes world record: diciannove ore filate. I giornali anglosassoni all’indomani inseriscono la premier italiana tra i vincitori del braccio di ferro a Bruxelles sulle misure per sostenere l’Ucraina. Di più: la additano come la principale responsabile della “morte” dell’accordo sull’uso dei 210 miliardi di euro di asset russi. She killed it, l’ ha ucciso lei, scrive il Financial Times.
LA TELA DI MELONI
C’è più di un fondo di verità. Meloni ha giocato la sua partita. E non c’è dubbio che abbia vinto anche lei questa mano. Con una inversione a U che ha del cinematografico, l’Europa riunita a conclave ha infine messo nel cassetto l’idea di “sequestrare” i fondi sovrani russi custoditi nei suoi depositi per finanziare la resistenza ucraina. E ha virato su un piano B — il prestito da 90 miliardi — che dà a Zelensky ossigeno per un altro anno. È il risultato di una notte di trattative febbrili, vertici tesi e caminetti ristretti al terzo piano del palazzo Justus Lipsius. Con la premier italiana a ritagliarsi un ruolo da deal-maker.
Nella sala circolare dei ventisette, durante la prima sessione, Meloni decide di non prendere neanche la parola. Osserva in silenzio. La vera partita del resto si gioca fuori, in un round di colloqui a tu per tu che riesce solo a notte inoltrata, intorno all’una del mattino, a spezzare il fronte capeggiato dalla Germania di Friedrich Merz, a favore dell’uso degli asset russi. A guidare la “resistenza” in seno al Consiglio il premier belga Bart De Wever. Occhiali, capello curato al dettaglio, doppiopetto, il leader conservatore fiammingo è l’uomo del momento. Si riversa su di lui la pressione della Germania e dei Paesi favorevoli all’esproprio degli asset russi. E lui, che più di tutti i presenti ha da perdere — il Belgio detiene 185 miliardi di euro su 210 miliardi totali degli asset congelati dalle sanzioni — non si smuove di un centimetro. Mentre i lavori del Consiglio finiscono via via in sordina e le trattative laterali sugli asset prendono il sopravvento, Meloni decide di dargli una mano. È convinta che il sequestro degli asset di Mosca per finanziare il prestito ucraino sia un azzardo pericolosissimo. «Un vero e proprio suicidio» è arrivata a definirlo nei giorni scorsi parlando con un ministro.
Non è la sola a pensarlo. A Bruxelles, per la seconda volta in pochi giorni, Meloni ritrova l’insperata sponda di uno storico rivale: Emmanuel Macron. Se a parole il presidente francese si mostra “laico” di fronte all’ipotesi di usare gli asset per foraggiare le casse di Kiev, in privato confessa i timori francesi. E partecipa in prima persona alle manovre per affossare quel piano. Lo fa insieme alla leader italiana che già ha trovato al suo fianco nella partita per il Mercosur, l’accordo di libero scambio tra Ue e America Latina la cui firma è stata rinviata a gennaio grazie alle impuntature proprio di Italia e Francia. Si coordinano, la premier e Monsieur le president. «Un’alleanza inedita» scherza Meloni con i suoi una volta passata la bufera. Entrambi i leader, quando è sera inoltrata, sollevano seri dubbi sulle garanzie legali per l’operazione asset. Meloni insiste molto sul punto. Fa notare che il costo delle clausole pretese dal Belgio — De Wever ha chiesto “garanzie illimitate” degli Stati membri per difendere il suo Paese da un ricorso legale del governo russo — sarebbe stato talmente alto da ridurre i finanziamenti destinati a Kiev. Un paradosso. Ma c’è altro. Quando tocca a lei la premier italiana ricorda ai presenti che i Parlamenti nazionali devono votare sul sequestro degli asset. E fa notare che il voto dell’aula italiana, con la Lega pronta a montare le barricate, non è affatto assicurato. È l’una passata quando Meloni riprende la parola. Ma il clima è già cambiato. Al momento di schiacciare sul bottone rosso degli asset russi, i leader Ue sono presi come da una vertigine.
L’INVERSIONE
Il fronte a favore perde pezzi. Meloni prende da parte Merz e De Wever, poi l’ungherese Orban insieme a Macron: lo convince a dire sì al piano B, il prestito da 90 miliardi, da cui l’Ungheria si può sfilare in un secondo momento insieme a Slovacchia e Repubblica Ceca. Nel giro di un’ora il prestito finanziato dal debito comune europeo tanto osteggiato dai “frugali” e dalla Germania di Merz diventa il piano A. Zelensky ottiene i fondi, Putin ha un pretesto in meno per minacciare l’Europa. A Roma la Lega ha un pretesto in meno per far ballare la maggioranza. L’operazione asset è morta. She killed it.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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