ROMA La notizia irrompe sui siti libici a metà mattinata. Osama Njeem Almasri è stato arrestato a Tripoli. Il “torturatore” ed ex capo della milizia Rada, fermato in Italia a gennaio e rimpatriato su un volo di Stato nonostante un mandato d’arresto della Corte penale internazionale, finisce in manette a casa propria con l’accusa di “tortura e omicidio”.
Imbocca così un nuovo tornante la vicenda del ras da mesi al centro delle cronache politiche italiane. Costata un’indagine della procura di Roma nei confronti della premier Giorgia Meloni, di Alfredo Mantovano e dei ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, poi archiviata. Un fulmine a ciel sereno? Non proprio. Dal governo dichiarano con il contagocce. «Non me ne sto occupando..» taglia corto alla Camera il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ma fonti di vertice fanno sapere che l’arresto di Almasri era nell’aria da tempo. «L’esecutivo italiano era bene a conoscenza dell’esistenza di un mandato di cattura emesso dalla Procura Generale di Tripoli a carico del libico Almasri già dal 20 gennaio 2025» precisano in serata fonti di Palazzo Chigi. Aggiungendo che in quella data, ovvero quando è scoppiato a Roma l’Almasri-gate, «il ministero degli Esteri italiano aveva ricevuto, pressoché contestualmente con l’emissione del mandato di cattura internazionale della Procura presso la Corte Penale Internazionale de L’Aja, una richiesta di estradizione da parte dell’Autorità giudiziaria libica».
IL CONTESTO
Insomma, è la versione del governo, la cattura del generale da parte delle autorità di Tripoli in esecuzione del mandato di arresto della procura libica dimostrerebbe le ragioni di quella scelta tanto contestata all’inizio dell’anno: rispedire Almasri a casa, invece che consegnarlo alla Corte dell’Aja. Versione che non convince affatto le opposizioni tutte in trincea. «È una figura vergognosa a livello internazionale per cui il governo deve chiedere scusa agli italiani», affonda il colpo la segretaria del Pd Elly Schlein. Andiamo con ordine. Prima i fatti. Almasri è arrestato a Tripoli nella tarda mattinata. Viene trasportato dapprima in un carcere segreto nella capitale, ma sconterà a Misurata, ad Est, la sua condanna. Forse in una villa. Le accuse della procura tripolina, che ha chiesto l’arresto di Almasri e il suo rinvio a giudizio, sono pesantissime. In una nota il procuratore generale parla di «trattamenti crudeli e degradanti» e annuncia di avere prove sulla «violazione dei diritti di dieci detenuti e alla morte di uno di loro a causa delle torture». L’arresto, si diceva, non è davvero un colpo di scena per il governo. Fonti di sicurezza spiegano che l’esecutivo italiano era stato informato dalla controparte a Tripoli sull’imminente arresto di Almasri, tramite l’intelligence e in particolare l’agenzia esterna dell’Aise. E del dossier libico si è parlato in un vertice a Palazzo Chigi martedì a cui hanno preso parte, fra gli altri, Piantedosi e Mantovano. Le manette ad Almasri sono comunque una cesura. Segnalano — questa la lettura a Palazzo Chigi — la definitiva caduta della milizia Rada, fino a gennaio scorso a capo dell’aeroporto di Mitiga, ora ridotta all’osso e costretta all’obbedienza dal governo tripolino a seguito di una serie di violenti scontri armati nella capitale a maggio scorso. Un cambio di scenario che vede il governo italiano nei panni di spettatore e attore interessato. Da un lato a Roma scommettono sulla stabilizzazione del governo onusiano. Oggi, per dire, il sottosegretario agli Esteri Silli sarà in Libia per firmare un importante accordo sulla principale autostrada del Paese. Dall’altro preoccupa il caos libico e le ripercussioni che può avere su una nuova ondata di migranti dalla sponda Ovest. Mentre Piantedosi prepara una nuova missione a Bengasi, Meloni soppesa i rischi di questo scenario. Non stupisce allora che le sorti di Almasri e della Rada fossero sotto i riflettori di Palazzo Chigi. Altro conto è l’imbarazzo per una tortuosa vicenda giudiziaria trasformata da inizio anno in un caso politico spinosissimo. Da gennaio, quando un Falcon dei Servizi aveva riportato in patria il generale ricercato dall’Aja e scarcerato dalla Corte d’Appello di Roma fra le polemiche, Almasri era diventato un fantasma. Non una parola, non una foto del ras e torturatore libico. Dieci mesi dopo il governo scorge nell’arresto di Almasri una prova che rafforza la difesa sostenuta davanti al Tribunale dei ministri con la legale Giulia Bongiorno.
LA DIFESA E I DUBBI
Ovvero:l’Italia ha scelto di rispedire a Tripoli Almasri proprio in ottemperanza del mandato di arresto della Procura libica, dando ad esso precedenza rispetto al mandato della Cpi. Anche se restano incongruenze e dubbi da chiarire. Almasri, per ammissione del governo, non è stato estradato bensì “espulso” in Libia per ragioni di sicurezza nazionale: centinaia di italiani a Tripoli, questa la tesi sostenuta dall’intelligence nella memoria difensiva, rischiavano ritorsioni in caso di arresto del generale in Italia.
Domande che le opposizioni non vogliono lasciar cadere. Parla di «un’umiliazione» e «una vergogna per la nostra immagine» il presidente dei Cinque Stelle Giuseppe Conte, da Più Europa rincara Riccardo Magi: «Per il governo la Libia è al di sopra del diritto internazionale?». Intanto i legali di alcune vittime di Almasri annunciano la richiesta di risarcimento danni a Palazzo Chigi per il mancato arresto del libico a gennaio.
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