L’Europa assesta un duro colpo ai colossi del web americani. Con due sentenze separate, la Corte di giustizia dell’Unione ha sancito la vittoria della Commissione in due battaglie che andavano avanti da anni contro Apple e Google. Con un verdetto che mette fine a una complessa vicenda, e ribalta il precedente grado di giudizio, i giudici comunitari hanno in sostanza confermato una decisione di Bruxelles del 2016: l’Irlanda ha concesso fino al 2014 alla società dell’iPhone vantaggi fiscali sugli utili generati fuori dagli Stati Uniti per un valore di 13 miliardi di euro. In sostanza un aiuto di Stato illegale. Soldi che ora Dublino deve farsi restituire e che si tradurranno in una pesantissima stangata per il gruppo fondato da Steve Jobs. Con un altro provvedimento la Corte con sede in Lussemburgo ha invece respinto il ricorso di Google contro la maxi-multa da 2,4 miliardi di euro inflitta sempre dalla Commissione all’azienda di Mountain View nel 2017 per abuso di posizione dominante nel settore delle ricerche su internet.
LA LINEA
«È una grande vittoria per i cittadini europei e per la giustizia fiscale», ha esultato la vicepresidente della Commissione Ue, Margrethe Vestager, che dopo dieci anni alla guida dell’Antitrust di Bruxelles può tornare in Danimarca rivendicando il doppio successo della linea dura europea contro lo strapotere delle big tech statunitensi. Un attivismo che non sempre ha portato a casa i risultati sperati (lo scorso anno i giudici del Lussemburgo avevano dato ragione ad Amazon in un altro contenzioso fiscale con Bruxelles). Ma che certamente confermano il ruolo dell’autorità che vigila sulla concorrenza dell’Unione come il più aggressivo controllore del settore tecnologico, dominato dai giganti a stelle e strisce. La sentenza della Corte su Google è «epocale», ha poi rimarcato Vestager, che ieri a Bruxelles durante una conferenza stampa si è anche visibilmente commossa per il successo. «Dimostra — ha aggiunto — che anche le più potenti società tecnologiche possono essere ritenute responsabili, nessuno è al di sopra della legge». L’Irlanda ha poi confermato che «rispetterà la sentenza» e chiederà quindi a Apple la restituzione degli aiuti.
«La Commissione europea sta cercando di cambiare retroattivamente le regole ignorando che, come previsto dal diritto tributario internazionale, il nostro reddito era già soggetto a imposte negli Stati Uniti», è stato il commento della società di Cupertino. «Siamo delusi dalla decisione odierna poiché in precedenza la Corte di Giustizia aveva riesaminato i fatti e annullato categoricamente il caso», ha proseguito Apple, sostenendo che la vicenda «non ha mai riguardato la quantità di tasse che paghiamo, ma il governo a cui siamo tenuti a pagarle. Paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo ovunque operiamo e non c’è mai stato un accordo speciale».
LE RICERCHE
Simili le parole scelte da Google per commentare il verdetto della giustizia europea. «Siamo delusi dalla decisione della Corte. Questa sentenza si riferisce a un insieme di fatti molto specifico. Abbiamo apportato modifiche nel 2017 per conformarci alla decisione della Commissione europea e il nostro approccio ha funzionato con successo per oltre sette anni, generando miliardi di clic per oltre 800 servizi di comparazione prezzi», ha commentato un portavoce della società. Secondo l’accusa infatti l’azienda californiana presentava i risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti in prima posizione e li valorizzava all’interno di “box” dedicati, accompagnandoli con informazioni grafiche e testuali attraenti. Mentre i risultati dei servizi concorrenti apparivano meno visibili e venivano presentati solo come semplici link testuali blu. Da qui l’accusa di abuso di posizione dominante sul mercato dei servizi di ricerca su internet, ora confermata definitivamente dalla Corte europea.
LE RISORSE
La sentenza su Apple «è storica», ha commentato Pasquale Tridico, eurodeputato dei 5 stelle e presidente della Commissione per le questioni fiscali del Parlamento europeo. «I vantaggi concessi alle multinazionali vengono considerati di fatto una elusione fiscale, una pratica incompatibile con il mercato interno — ha osservato -. L’Italia è uno dei Paesi europei che viene maggiormente penalizzato da questa competizione sleale che drena risorse preziose alle casse pubbliche necessarie per l’istruzione, la sanità, la lotta contro la povertà o il sostegno ai settori industriali in crisi».
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