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«Alla difesa il 3,5% del Pil e nessuno deve smarcarsi»


ROMA Nessun tentennamento, unità. Più difesa chiede l’Europa e più difesa europea esige Donald Trump. Ecco perché non sono più ammessi smarcamenti: l’Italia farà il suo e nessuno, nel governo, dovrà remare contro. È questo il messaggio che Giorgia Meloni ha consegnato ieri ai suoi in una riunione ristretta a Palazzo Chigi, poco prima del Consiglio dei ministri e all’indomani del bilaterale del disgelo con il presidente francese Emmanuel Macron. Attorno al tavolo i due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il responsabile della Difesa Guido Crosetto e il titolare delle imprese Adolfo Urso. Meloni parla a nuora affinché suocera intenda. Sa bene che quello della difesa è un tema scivoloso e divisivo, più volte osteggiato dalla Lega e cavalcato da Salvini e i suoi strizzando l’occhio all’elettorato. Ma la premier mette in chiaro che non intende rimanere col cerino in mano. Dunque niente speculazioni, mai più frasi del tipo «meno armi e più ospedali» devono levarsi dalla sua maggioranza. L’Italia rispetterà gli impegni con gli alleati, ma non intende essere lei a pagare dazio in termini di consenso. Un chiarimento che Meloni avanza alla vigilia dell summit dei ministri della Difesa della Nato, in agenda oggi a Bruxelles. La riunione a Palazzo Chigi serve proprio a definire la linea, il perimetro di azione che Crosetto dovrà intestarsi oggi con i colleghi. Ma per la presidente del Consiglio è l’occasione buona per parlare chiaro con gli alleati, evitando nuove fughe in avanti.

Al vertice Nato all’Aia mancano appena due settimane. E lì che l’Europa sarà chiamata a fare i conti con le pretese di Donald Trump, che batte i pugni sul tavolo chiedendo agli alleati di alzare la spesa per la difesa al 5% del Pil. Non si tratta solo di investire risorse in missili e carri armati, ma anche in infrastrutture critiche e cybersicurezza. Una richiesta, quella del tycoon, che ha tuttavia il sapore di un ultimatum. Il rischio è che The Donald punti al summit del 24 e 25 giugno per smarcarsi dall’Alleanza atlantica. Un timore che serpeggia e genera ansia, anche in termini di compiti da fare visto che solo 22 dei 32 membri della Nato raggiungono l’attuale soglia minima del 2%. L’accordo che si spera di strappare all’Aia — ne parlerà Meloni giovedì prossimo con il segretario generale della Nato Mark Rutte, atteso Palazzo Chigi — punta a quota 3,5% ed è ormai considerato il punto di caduta. Meloni studia con Crosetto e i suoi la strategia che Roma dovrà portare avanti per essere della partita salvaguardando i conti pubblici.

OBIETTIVO SPALMATO

La Nato dovrebbe concedere 7 anni per centrare il nuovo obiettivo. Ebbene, nel vertice di ieri — raccontano al Messaggero fonti presenti all’incontro — la premier ha spiegato che l’Italia dovrà lavorare ai fianchi per allungare i tempi, spalmando quel 3,5% su 10 anni. Facendo gioco di squadra con altri Paesi in affanno, come Canada e Spagna ma anche la Francia: su questo punto la premier avrebbe ragionato nel bilaterale con Macron, che ieri ha ringraziato Meloni per «l’ottimo incontro» perché «l’Europa si costruisce attraverso il dialogo e l’azione». Roma e Parigi possono cercare di portare la palla in rete insieme. Forti anche del fatto che, pur con conti pubblici in profondo rosso, non figurano fra i 16 Paesi Ue che hanno chiesto deroghe al Patto di stabilità per aumentare le spese della Difesa, nell’ambito del pacchetto ReArm-Readiness. Quanto al mancante 1,5% per arrivare al 5 chiesto dagli americani, per Meloni la rotta è rendere questo surplus di spesa il più flessibile possibile, includendo le voci più disparate, dalla protezione civile alle risorse per le politiche migratorie. Su queste due direttive si muoverà Crosetto, oggi a Bruxelles per l’ennesimo round di una lunga serie.

Ileana Sciarra

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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