Esplode il fenomeno della «shrinkflation» nei supermercati e nei market. Negli ultimi due anni le confezioni di prodotti alimentari e di igiene personale si sono ridotte del 16%, ma con prezzi più alti fino all’80% e anche del doppio se si considera il costo al chilogrammo. Lo rivela un’indagine dell’Osservatorio Nazionale di Federconsumatori, che Il Messaggero ha potuto visionare in anteprima. Si tratta di una tattica commerciale, subdola, che permette di alzare i costi senza dare troppo nell’occhio. O un’inflazione nascosta, che i cittadini pagano di tasca propria con l’aggravante, spesso, di sentirsi beffati.
Generalmente, infatti, il consumatore ricorda il prezzo del prodotto, ma non l’esatta grammatura e, anche per i più attenti, è difficile tenere d’occhio l’aumento dei prezzi al chilo. La grande distribuzione fa sapere di aver sempre contrastato questo fenomeno e punta il dito sulle singole aziende, a partire dai grandi marchi dell’alimentare e dell’igiene personale. Maggioranza di governo e opposizioni, intanto, lavorano per introdurre un’etichetta ad hoc che segnali il fenomeno e renda consapevoli i consumatori. Per gli esperti può limitare il fenomeno, ma non è detto che basti a spezzarne le redini.
Nel frattempo ci sono altre strategie che si possono mettere in campo per evitare spiacevoli sorprese.
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Gli effetti della shrinkflation
La shrinkflation è una strategia di marketing che comporta la riduzione, spesso impercettibile, della quantità di un prodotto, a fronte di un prezzo che, nella migliore delle ipotesi, rimane lo stesso, o addirittura aumenta.
«L’effetto a lungo termine — spiega Federconsumatori — si ripercuote sul potere d’acquisto dei consumatori, che pagano un prezzo più alto per una quantità minore di cibo, ma non è trascurabile, inoltre, l’impatto negativo sull’ambiente». «Riducendo solo la quantità di prodotto senza adattare le confezioni — aggiunge l’associazione — si genera un eccesso di materiale di imballaggio: un fenomeno noto come overpackaging. Dalle scatole di merendine, alle confezioni di tisane: avete mai notato che non sono riempite fino all’orlo? È proprio perché, lasciando le dimensioni delle confezioni invariate, l’inganno è meno evidente».
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I prodotti coinvolti
Dalla pasta alle patatine, dalla birra ai prodotti per la casa, quasi nessun settore sembra esente dal fenomeno. I detersivi sono in particolare tra i prodotti più colpiti dalla shrinkflation, specialmente in occasione delle offerte. Capita spesso, infatti, che vengano messi in vendita formati scorta che sembrano essere molto convenienti. «A causa della shrinkflation — dice Federconsumatori — acquistando il multipack abbiamo l’impressione di risparmiare molto di più di quanto in realtà non accada: riducendo le quantità dei prodotti inseriti in pacchi “maxi promo”, infatti, l’offerta potrebbe essere meno vantaggiosa di quanto appaia. Ci permette probabilmente di acquistare a un prezzo vantaggioso, ma meno di quanto crediamo».
Questi, quindi, le principali variazioni negli ultimi due anni:
Il prezzo, come detto, non è aumentato solo rispetto al chilogrammo, ma anche in valore assoluto sulla confezione. Il balzo è stato: del 16,28% per la birra, del 78,85% per l’ammorbidente, del 6,71% per il bagnoschiuma, del 50,31% per il detersivo dei piatti, del 16,81% per la passata di pomodoro e del 22,38% per i cereali da colazione. Bibite gassate e yogurt, invece, mantengono invece lo stesso prezzo, ma con meno prodotto dentro. Tra le poche eccezioni contrarie segnalate nel report il prosciutto cotto confezionato. La confezione media è passata da un contenuto di 120 grammi per un costo di 4,53 euro a un contenuto di 110 grammi per un costo di 2,79 euro. Il contenuto è calato di 10 grammi (l’8,3%), ma il prezzo al chilogrammo è sceso del 38,41%.
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La posizione delle imprese
Fonti di Federdistribuzione fanno sapere a Il Messaggero che le imprese della grande distribuzione (e quindi i maggiori supermercati) «hanno sempre contrastato modifiche immotivate alle quantità di prodotto e non risulta che negli ultimi anni sia stato un fenomeno più diffuso». Modificare un prodotto comporta obblighi ben precisi e costi. Lì dove avviene, le ragioni sarebbero «da ricercare per lo più in scelte che l’azienda produttrice fa per ragioni di offerta e servizio ai consumatori». E, «nei pochissimi casi che riguardano i prodotti a marchio del distributore», aggiunge l’organizzazione, «è stato comunicato con molta trasparenza».
Dai principali marchi dell’alimentare e dell’igiene personale, invece, si fa sapere che «se fatta in modo trasparente e corretto questa operazione genera consumatore per lo più un vantaggio: non aumentano i prezzi a scaffale e si paga sempre lo stesso costo, a fronte di un calo marginale della quantità di prodotto e nonostante l’enorme crescita dei costi di produzione e dell’energia per le aziende negli ultimi due anni».
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L’etichetta in arrivo
Per provare a limitare il fenomeno alcuni emendamenti al disegno di legge sulla Concorrenza, in discussione alla Camera, introducono un’etichetta ad hoc. Dal primo aprile potrebbe così essere obbligatorio informare i consumatori della riduzione della quantità di prodotto (a cui consegue un aumento del prezzo) nonostante sia rimasta invariata la confezione. Lo prevedono in particolare alcuni emendamenti presentati da Azione, Italia Viva, Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento 5 Stelle, che sono stati approvati in commissione Attività produttive alla Camera con alcune riformulazioni arrivate dall’esecutivo.
Per le aziende sarebbe obbligatorio informare il consumatore «dell’avvenuta riduzione della quantità tramite l’apposizione nel campo visivo principale della confezione di vendita o tramite un’etichetta adesiva riportante la seguente dicitura: ‘Questa confezione contiene un prodotto inferiore di X (unità di misura) rispetto alla precedente quantità’». L’obbligo di informazione si applicherebbe per un periodo di sei mesi «a decorrere dalla data di immissione in commercio».
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Il test di Altroconsumo
Una scelta, questa di maggioranza e opposizioni, che potrebbe orientare chi compra verso marche che non praticano questa tecnica. Secondo le associazioni dei consumatori, però, non è detto che questa previsione di legge possa bastare ad abbattere la shrinkflation. Questo anche perché la shrinkflation spesso è ancora più nascosta, con i prodotti che non hanno realmente il peso dichiarato nella confezione. Secondo una recente indagine sulle mozzarelle condotta da Altroconsumo, su 19 prodotti analizzati, ben 5 hanno fallito la verifica del peso sgocciolato, risultando inferiori al peso dichiarato. Inoltre non rispettano la finestra di tolleranza prevista dalla legge. Tra queste, la mozzarella Coop, prodotta in Slovenia, è stata penalizzata per la possibile presenza di latte in polvere, vietato in Italia per la produzione di mozzarella.
Il test ha anche messo in luce come molte mozzarelle della grande distribuzione, pur essendo “accettabili”, non raggiungono standard eccelsi. Al contrario, una mozzarella tedesca della Bayerland e una dell’Alto Adige si sono classificate come migliori, dimostrando che la qualità non dipende necessariamente dalla provenienza geografica.
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Come difendersi
Nel frattempo, per evitare di essere ingannati dalla shrinkflation, sempre secondo le associazioni dei consumatori, i clienti dovrebbero: comparare il prezzo al peso, leggere le etichette attentamente ed essere consapevoli dei cambiamenti nel packaging
Le associazioni, a partire dal Codacons, hanno iniziato a denunciare questa pratica all’Antitrust e alle procure, cercando di stabilire se la shrinkflation costituisca una pratica commerciale scorretta o addirittura una truffa. La shrinkflation ha come effetto secondario quello di far spendere ai consumatori più tempo per la spesa, non solo per verificare la qualità e la sostenibilità dei prodotti, ma anche per accertarsi che la quantità indicata corrisponda effettivamente a quella contenuta nella confezione. Una realtà che ha anche i suoi effetti positivi, perché aumenta la consapevolezza su cosa si acquista e mangia.
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