22.07.2025
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Politics

al Campidoglio più autonomia su materie come trasporti e turismo


Un sogno chiamato Roma Capitale. La Città eterna dotata di poteri speciali, in grado di legiferare su materie delicate, dai trasporti al turismo, come fanno oggi le Regioni. Accarezza da tempo la politica italiana, a destra come a sinistra, ma è sempre rimasto sulla carta. Ora forse è la volta buona. Il governo è pronto a portare in Consiglio dei ministri la riforma per i poteri speciali di Roma. Non è escluso che già giovedì il Ddl costituzionale — a cui ha lavorato personalmente Giorgia Meloni insieme ai ministri delle Riforme e delle Autonomie Elisabetta Casellati e Roberto Calderoli — otterrà un primo via libera a Palazzo Chigi.

Il testo

Una rivoluzione, almeno sulla carta. Alla Capitale, stando alle indiscrezioni della vigilia, saranno riconosciute per la prima volta funzioni delicatissime appaltate fino ad oggi alla Regione Lazio. Su tutte, la possibilità di scrivere leggi su materie come il turismo, il trasporto pubblico locale. E poi ancora il commercio, il governo del territorio ovvero la sicurezza. La lista è ancora alle ultime limature e non si escludono ritocchi nei prossimi giorni, in un’interlocuzione istituzionale che vede coinvolti, oltre al governo, il comune di Roma guidato da Roberto Gualtieri, lo stesso Quirinale. E se è vero che il diavolo è sempre nei dettagli — il vero nodo da sciogliere, in un secondo momento, è quello aggrovigliatissimo delle risorse da destinare alla città per evitare che le nuove responsabilità restino una scatola vuota — la sostanza qui è tutta politica. Per la premier la riforma capitale ha un tratto autobiografico. La candidatura a sindaco del 2016 ha segnato l’inizio dell’ascesa politica nazionale di una leader partita dalla militanza in una destra romana e romanocentrica e arrivata a Palazzo Chigi quasi tre anni fa. Ora la firma sulla riforma che già agli albori della sua parabola politica difendeva, come peraltro ha fatto per anni un pezzo importante della dirigenza Pd. Veniamo alla sostanza. Roma, nelle intenzioni del governo, diventerà un ente a sé. Entrando a pieno titolo, a fianco dello Stato, delle Regioni, di comuni, province e città metropolitane fra le istituzioni elencate dall’articolo 114 della Costituzione. Un articolo elencherà puntualmente le funzioni trasferite dalla Regione al Campidoglio, su cui Roma potrà legiferare. Turismo, urbanistica, governo del territorio, trasporto locale. Tradotto dal politichese, si tratta di poter decidere del costo di un biglietto sul bus, della governance del fiume Tevere, di un piano rifiuti senza passare da mille via libera e controlli incrociati.

L’elenco, si diceva, è ancora scritto a matita. E del resto nella lunga gestazione che ha accompagnato in questi mesi il lavoro della bozza — su cui Meloni e i ministri incaricati hanno avuto più incontri, insieme al titolare dei conti Giancarlo Giorgetti — sono diversi i ritocchi andati a segno. Nelle prime bozze, ad esempio, faceva capolino l’autonomia finanziaria dei municipi di Roma. Una battaglia sostenuta fra gli altri da Forza Italia (Paolo Barelli, capogruppo alla Camera, è firmatario di un’antica proposta per i poteri speciali a Roma). Idea che invece ha sempre convinto poco chi, come Gualtieri che lo ha spiegato in una recente intervista a questo giornale, ritiene che «vada mantenuta l’unità di Roma Capitale» perché «spezzettarla avrebbe sicuramente l’effetto di ridurre l’efficienza e la qualità dei servizi». Ecco allora che sembra tramontata, raccontano sempre fonti qualificate in vista dell’annuncio ufficiale, la vecchia ipotesi di municipi con bilanci e risorse autonome. Almeno in questa forma. Mentre il testo finale farà più sobriamente riferimento all’attuazione di un ampio «decentramento amministrativo» da realizzare in coordinamento con il comune.

La sfida in aula

Sarà poi una legge ordinaria a entrare nei dettagli. Magari, è la speranza di chi ritiene, ed è un fronte trasversale ai partiti, che a Roma siano state sottratte negli anni risorse e funzioni degne di una capitale, anche a definire le risorse finanziarie con cui attuare i poteri speciali.

Insomma un doppio binario. La “quarta riforma”del centrodestra al governo, in fila al premierato, la giustizia e l’autonomia cara ai leghisti, inizia ora a muovere i primi passi. Questa volta con il via libera di tutto il centrodestra. Sì, anche del Carroccio che agli albori della sua epopea politica gridava a Roma “ladrona” e ora invece sostiene di buona lena i poteri speciali per la Capitale. Basta ascoltare Calderoli per capire che l’aria è cambiata. Ieri l’“architetto” delle norme di via Bellerio e ministro alle autonomie univa la battaglia per Roma alla campagna, questa sì soprattutto leghista, per il federalismo. «Quando si parla di autonomia io ci sono sempre, sia per le Regioni, sia per la Capitale. Autonomia’ vuol dire più poteri ma anche più responsabilità. In questo senso ho lavorato e lavorerò sia su un fronte che sull’altro».Ora palla al Consiglio dei ministri: entro la pausa estiva, assicurano a Palazzo Chigi, la riforma avrà un primo semaforo verde. Il secondo round è in Parlamento. Dove Meloni si attende larghe anzi larghissime intese, anche a sinistra, sui poteri speciali per Roma.


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