22.12.2025
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Politics

«Affidabilità da preservare, non si guardi solo al voto». L’avviso del presidente della Repubblica


Ammonisce sui rischi di una «democrazia dei rassegnati». Elogia la «prudenza» del governo sui conti pubblici («l’affidabilità – avverte – è un valore da preservare»), seppur senza tralasciare che molto resta da fare su «questioni aperte» come i salari troppo bassi, l’occupazione femminile e quella dei giovani. Sottolinea che è «necessario» investire in difesa, per quanto l’argomento sia «comprensibilmente poco popolare». Ma soprattutto, rivolge un appello a destra e sinistra, impegnate nelle stesse ore a darsele di santa ragione sulla manovra. Alle quali chiede di unire le forze su alcuni «obiettivi fondamentali». E di guardare non «alle successive elezioni», ma «all’orizzonte del bene comune dell’Italia». In un salone dei Corazzieri gremito di ministri, presidenti di Regione e di Authority, consiglieri del Csm e alte cariche dello Stato presenti e passate per lo scambio di auguri di Natale al Colle, Sergio Mattarella pronuncia un discorso fortemente politico, nel senso più alto del termine.

L’ALLARME

Un intervento in cui risuona forte la preoccupazione per la tenuta dei sistemi democratici, in Europa e nel mondo. Perché sarà pur vero, come assicura il capo dello Stato, che «la democrazia è più forte dei suoi nemici», e che il modello occidentale consolidato in 80 anni di pace, sviluppo e relazioni transatlantiche è un «patrimonio irreversibile» perché «acquisito nei sentimenti e nelle coscienze dei popoli». Ma si tratta, avvisa Mattarella, di un sistema messo sempre più in discussione da una serie di fattori. Le «involuzioni autoritarie» e «contro la storia» di alcuni Stati, l’affermarsi di nuovi poteri come quelli dei giganti tech che concentrano in pochissime mani «enormi risorse finanziarie e tecnologiche». Ma pure l’apparente disinteresse, la mancata partecipazione di un numero crescente di cittadini alla democrazia.

Eccolo, l’allarme che risuona dal Colle più alto, dove hanno letto con sconcerto i dati sull’affluenza alle ultime tornate elettorali. «Non ci si può stancare di ripeterlo: una democrazia di astenuti, di assenti, di rassegnati è una democrazia più fragile», afferma Mattarella. Il messaggio è forte e chiaro: l’astensionismo non può essere un «problema del giorno prima», come se «dopo, a contare, fosse soltanto chi ha vinto e chi ha perso». La politica su questo deve interrogarsi, esorta il presidente, tanto più che a votare non vanno neanche molti giovani che pure su temi come pace e ambiente si mobilitano eccome. Altrimenti rischia di trincerarsi nella «autoreferenzialità».

Ad ascoltare e applaudire ci sono leader e capigruppo di tutte le forze parlamentari. La premier Giorgia Meloni e l’esecutivo quasi al completo (assente Giorgetti, nell’occhio del ciclone per la manovra). C’è Elly Schlein, seduta vicino a Renzi, Fratoianni e Magi, mentre Conte, Bonelli e Calenda siedono sul lato opposto. Tra la segretaria pd e l’avvocato pentastellato solo un rapido scambio di auguri e la promessa «Ci sentiamo presto», mentre con il ministro Foti va in scena il siparietto («Piaciuto il coro dell’altro giorno alla Camera?», gli chiede Schlein alludendo allo slogan sarcastico «Ridateci Foti, Foti, Foti» intonato mercoledì scorso dal Pd all’indirizzo di Bignami. E Foti sorride: «Mi avete messo in difficoltà…»). Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini discutono delle urne vuote, Mario Draghi fa i complimenti a Landini per la forma fisica («Ti vedo bene…», «Beh, ci proviamo…»). Salvini dribbla le domande sulla finanziaria come quelle sul Milan («lasciamo stare…»). A tutti, ex ma soprattutto attuali rappresentanti delle istituzioni di centrodestra e centrosinistra, Mattarella rivolge un invito pressante. Quello di andare oltre «le sbrigative categorie amico/nemico», che spesso invece «prevalgono sulla fatica di trovare risposte condivise nell’interesse collettivo».

Lavorare insieme su alcuni «obiettivi fondamentali», sui «grandi temi della vita nazionale che vanno oltre l’orizzonte delle legislature». E che trascendono «le eventuali alternanze tra maggioranze di governo». Ne elenca più d’uno, l’inquilino del Colle. La politica internazionale, «delle alleanze, della scelta dell’Europa come strada da percorrere senza ripensamenti». Un percorso da cui non si torna indietro, mette in chiaro Mattarella, e sembra quasi mandare un messaggio ai molti euroscettici (anche) di casa nostra. «Sappiamo bene che l’Unione ha alcuni problemi e molti avversari», ma nessuno Stato, «neanche il più ricco», può avere la «presunzione» di fare da solo.

L’altro nodo, mai così attuale, è la difesa. E qui il messaggio è bipartisan, perché in entrambe le coalizioni c’è chi rema contro l’aumento delle spese in armamenti. Ma i nuovi rischi, ammonisce il capo dello Stato, «senza infondati allarmismi, sono concreti e attuali». Serve uno «sforzo convergente», è l’invito. Anche se sa bene, il presidente, che destinare miliardi in sicurezza è «comprensibilmente poco popolare».

Uno sforzo da portare avanti senza mai distogliere lo sguardo dai conti pubblici, ricorda. «L’affidabilità del Paese è un valore preservato e da preservare», come testimonia lo spread mai così basso e l’economia che «mostra segnali di fiducia». Il Paese può farcela, esorta Mattarella, che cita i numeri dell’export e il Pnrr come esempi virtuosi. Su altri fronti invece molto resta da fare. Ricorda 5 milioni di persone sotto la soglia di povertà, il problema «annoso e reale» delle retribuzioni, quello della sicurezza sul lavoro. Il primo augurio che rivolge per l’anno nuovo, però, è la «speranza della pace». In Ucraina come in Medio oriente. Quella che l’Europa ha costruito in 80 anni e che appare messa a rischio. «Abbiamo il dovere di coltivare e consolidare ogni piccolo spiraglio che si apra», esorta. Poi cita Roosevelt: «Più che una fine della guerra vogliamo una fine dei principi di tutte le guerre».


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