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«Accordo Mercosur entro un anno. Ue, l’asse franco-tedesco spazzato via»


L’orgoglio per le pagelle dell’Europa sui conti pubblici: «L’Italia è il Paese che ne è uscito meglio». Il (quasi) semaforo verde all’accordo tra Ue e Mercosur: «Può essere una fonte importante di nuovi mercati. La ratifica del trattato? Entro la fine dell’anno o entro i primi sei mesi del 2026». E poi la ritrovata «centralità» di Roma nello scacchiere europeo, col vecchio asse franco-tedesco «spazzato via» dai nuovi scenari geopolitici mondiali (e dal ruolo da «protagonista» di Giorgia Meloni). Tommaso Foti è reduce da una girandola di colloqui coi suoi omologhi europei. Ultima, ieri a Roma, la ministra cipriota Marilena Raouna. E intervenendo sul palco dell’evento del Messaggero, intervistato dal vicedirettore Barbara Jerkov, il ministro per gli Affari Ue e il Pnrr non nasconde la soddisfazione. 

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LE PAGELLE

A cominciare dal sostanziale congelamento da parte di Bruxelles della procedura per deficit eccessivo avviata l’anno scorso contro Roma, per aver superato il 3% di disavanzo. «Molti saranno rimasti delusi ma noi no – sorride Foti – sapevamo di aver fatto un programma attento per evitare contestazioni peggiori, come quelle che ha avuto l’Austria». Infatti il deficit nel 2026 dovrebbe fermarsi a quota 2,9, con un “tesoretto” riconosciuto dall’Ue di 4,3 miliardi. «Penso di poter dire – osserva il ministro di FdI – che tra gli Stati interessati siamo quelli che ne sono usciti meglio, molto». 

Di certo però l’incognita dazi minaccia di far riscrivere le previsioni. Per il made in Italy occorre cercare nuove rotte, ampliare quelle esistenti. E in questo senso il trattato Ue-Mercosur coi paesi dell’America Latina rappresenta un’opportunità da cogliere al volo. Eppure la premier non ha mai nascosto u le perplessità sull’opportunità di aprire le porte dell’Ue ai prodotti agricoli sudamericani, col rischio di danneggiare la produzione nazionale. Dubbi che, a sentire l’esponente meloniano, Bruxelles sembra avere almeno in parte fugato. La procedura per la ratifica va avanti: «Se non sarà entro fine anno, sarà nei primi sei mesi del 2026», annuncia Foti. E questo nonostante «sia noi che la Francia abbiamo un problema abbastanza cogente di ottenere dall’Ue una garanzia di contropartita per quanto riguarda il comparto dell’agricoltura». Garanzie che la Commissione, in altri termini, sembra essersi impegnata a fornire. 

E chissà che non sia anche questa una conseguenza di quel ritrovato «protagonismo» italiano in Ue che il ministro dei “Fratelli” rivendica dal palco. «In passato, inutile negarlo, c’è stato un asse franco-tedesco» a guidare il Vecchio continente. Ma la «stabilità» dell’esecutivo tricolore, argomenta Foti, è qualcosa che a Parigi e Berlino oggi manca. «In Germania il governo è nato da una coalizione che si è combattuta alle elezioni, in Francia sta in piedi grazie alle astensioni». Uno scenario di debolezza politica che, insieme alla «situazione geopolitica cambiata totalmente» in breve tempo, ha «spazzato via i vecchi assi». L’Europa, per il titolare degli Affari Ue, ha davanti sfide complesse: dalla pace «giusta» in Ucraina al nodo della difesa («abbiamo preoccupazione a pronunciare la parola riarmo, ma chi ha una posizione geografica più esposta lo fa apertamente»). Per non ritrovarsi «marginale» l’Unione farebbe meglio a non considerarsi «antagonista» a Trump. E a «recuperare le sue origini». Ripartendo dal triangolo Francia-Germania-Italia, «tre Paesi fondatori». E «su questo sono molto ottimista». 

IL RUOLO 

Le opposizioni intanto accusano Giorgia Meloni di aver messo l’Italia ai margini nei consessi chiave. Lettura che Foti rigetta. «Penso parlino i fatti», replica. « Se l’Italia torna protagonista nel mondo, a beneficiarne per prime sono le imprese. In politica estera bisognerebbe evitare il muro contro muro, invece certa opposizione forse in crisi d’identità, forse con una punta d’invidia, contesta il ruolo della premier in Ue. Forse non leggono i giornali stranieri. Oppure – chiosa il ministro – è perché per la prima volta a Palazzo Chigi c’è qualcuno che in politica estera esprime una tesi, anziché obbedire». 
 

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