Alla fine l’atteso vertice di maggioranza sull’Autonomia diventa uno strapuntino nella giornata convulsa di Giorgia Meloni, sin dal risveglio chiamata a fare i conti con la notizia della violazione dello spazio aereo polacco di oltre una dozzina di droni russi. Un’incursione nei cieli Nato «grave e inaccettabile», la bolla la premier in una nota di condanna e «piena solidarietà» a Varsavia, in cui ribadisce che «l’Italia continuerà a lavorare per garantire la sicurezza europea, a partire da quella ucraina, e per il raggiungimento di una pace giusta e duratura». Prima di lei, era stato il ministro Antonio Tajani a condannare quella che, a Roma come nelle altre cancellerie, suona come «un’offesa alla sicurezza dell’intera area euro-atlantica».
Per Meloni è una doccia fredda, anzi gelida, con gli AWACS italiani chiamati a levarsi in volo – insieme ai top gun tedeschi, polacchi, olandesi – come le regole auree dell’Alleanza impongono. La preoccupazione per lo sconfinamento è altissima a Palazzo Chigi, nessuno ne fa mistero. Le lancette dell’orologio sembrano tornate indietro al G20 di Bali, novembre 2022, quando i leader presenti in Indonesia, Meloni compresa, furono svegliati dalla notizia di un missile piombato sul piccolo villaggio di Przewodów, sempre in Polonia, che uccise due persone. Solo qualche ora più tardi si scoprì che quel missile proveniva da un sistema di difesa aerea ucraino: «Ma la responsabilità è comunque tutta russa», tuonò all’epoca Meloni. A distanza di tre anni la sostanza, per lei, non cambia: le responsabilità sono tutte da imputare al Cremlino, che di pace, bluff a parte, non vuol sentir parlarne.
I TIMORI CONDIVISI
Al suo arrivo a Palazzo Chigi, prima di vedere la Presidente della Repubblica moldava Maia Sandu, la premier viene informata della riunione del Consiglio di sicurezza e della telefonata che l’attende, nel pomeriggio, con la regia del Segretario generale della Nato Mark Rutte. Una call che rosicchia anche i tempi del vertice di maggioranza, interrotto dopo appena un’ora per consentire alla presidente del Consiglio di collegarsi con Zelensky e gli altri.
Oltre che con il leader di Kiev e Rutte, in call Meloni si confronta con il primo ministro britannico Keir Starmer e, naturalmente, con il premier polacco Donald Tusk. Il leader di Varsavia aggiorna gli altri su quanto accaduto, non nascondendo i timori su un’escalation che rischia di debordare. Come in un domino, un solo tassello pronto a innescare una reazione a catena, giù una tessera dietro l’altra. In quel momento, per questioni di agenda, non è collegato il francese Emmanuel Macron, che pur, come è ovvio che sia, sente Zelensky, Rutte, Tusk ma in separata sede. Sul tavolo, anche proposte di sostegno concreto alla difesa aerea polacca, perché l’incursione di droni russi delle ultime ore potrebbe essere solo l’antipasto di quel che arriverà. La pace infatti assomiglia a un miraggio, i timori di un disimpegno americano alimentati anche dal timing delle riunioni della task force affidate al Segretario di Stato Marco Rubio, ormai sempre più lasco. Ma sulle garanzie di sicurezza «non bisogna arretrare, anzi. Sono l’unica strada da battere, assieme alle sanzioni, per garantire un futuro di pace all’Ucraina», la convinzione della presidente del Consiglio. Che tuttavia continua a nutrire dubbi sulla proposta, che vede comunque fuori l’Italia, sull’invio di truppe per creare una zona cuscinetto, una forza di interposizione per la quale si battono Starmer e Macron. «Se Putin non si fa problemi a violare lo spazio aereo polacco, quanto impiegherà a colpire una forza che ai suoi occhi viola il suo territorio?», ragiona un fedelissimo della premier. Nel pomeriggio Meloni sente anche il premier indiano Nerendra Modi, tra i protagonisti del vertice di Shanghai con Xi e Putin. Gli scatti che li ritraggono tutti e tre amabilmente insieme hanno fatto il giro del mondo. Ma Modi, che con Meloni ha un rapporto speciale – i meme che li vede protagonisti in India sono diventati un tormentone – ha ribadito alla premier «il suo impegno sincero per la pace e per la fine delle ostilità».
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