«Roma ha bisogno di più risorse e poteri. Una legge come l’autonomia differenziata rende oggettivamente più difficile averli»: il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, lancia l’allarme. Alla Capitale servono risorse. E servono poteri. Insieme a lui, si schierano Pier Andrea Chevallard, presidente di Confcommercio Roma e da pochi giorni anche vicepresidente di Confcommercio nazionale, e il presidente della Fiepet-Confesercenti di Roma e Lazio, Claudio Pica, i quali si aggiungono a Unindustria, il cui presidente, Andrea Camilli, dalle pagine del Messaggero, ha richiamato l’attenzione, fra l’altro, sulla necessità di mantenere alcune materie, come la politica energetica e quella industriale, sotto il controllo centrale dello Stato.
RISORSE E POTERI
«Roma ha bisogno di approvare in fretta la riforma sullo status di Roma Capitale», dicono all’unisono Chevallard e Pica. Aggiunge Chevallard: «E potrebbe non essere sufficiente se fosse limitata a una cosa formale. Servono risorse finanziarie per far crescere la città in efficienza e attrattiva». Un po’ quello che dice anche Gualtieri che critica la legge sull’autonomia differenziata «che, se applicata, sfascerebbe il paese o il bilancio dello Stato». La ragione è molto semplice: per esercitare le nuove competenze, le regioni più ricche tratterranno una parte del gettito fiscale destinato alle casse dello Stato, come previsto dall’articolo 5 comma 2. Parliamo di diversi miliardi che, se non compensati, creeranno un buco che si tradurrà in minori servizi per il resto del Paese. Solo l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni costerebbe diverse decine di miliardi, a cui si aggiungono quelli sottratti al bilancio pubblico dall’autonomia differenziata. Anche la Capitale come tutti i Comuni sarebbe fortemente penalizzata. Pensate al sottofinanzianto del trasporto pubblico, dove Roma riceve la metà di Milano, o al servizio degli educatori a supporto dei bambini con disabilità nelle scuole, che a noi costa 90 milioni ma lo Stato ce ne rifonde solo 4. Per non parlare degli effetti negativi sulla crescita economica e sulla competitività dell’Italia che si determinerebbero se, coma la legge prevede, si attribuissero alle regioni competenze su temi strategici come l’energia, la ricerca e l’innovazione, le grandi reti di trasporto: sono materie che nel mondo di oggi persino uno stato come l’Italia fatica ad esercitare da solo. L’idea di spostarle alle regioni è del tutto anacronistica».
VENTI LEGGI REGIONALI
Anche Pica e Chevallard sono sulla stessa linea: «Abbiamo 20 leggi regionali sul turismo. E venti sul commercio. Non possiamo averne altrettante su energia o trasporti», dice Pica. E Chevallard: «A Roma abbiamo un grande tessuto di università e imprenditori. Abbiamo bisogno di far decollare questo sistema. E non mi pare che questa frammentazione di competenze e la conseguente riduzione dei fondi che sembra alla base di questa riforma sull’autonomia vada in questa direzione». Discorso esattamente in linea con quanto detto da Angelo Camilli: «Occorre avere una visione di insieme dei problemi da affrontare, difendendo le prerogative della Capitale, il suo ruolo trainante per la crescita del Paese». Per Camilli servono «poteri concreti per gestire Roma al meglio, aumentando gli investimenti pubblici e facendo crescere il tessuto produttivo». Chiosa Pica: «Il Parlamento convochi i corpi intermedi su questa riforma, a partire dalle Camere di Commercio per non avere una norma che appesantisca una burocrazia già elefantiaca dopo la riforma del Titolo V della Costituzione».
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