L’inno italiano torna ancora una volta sotto i riflettori. Questa volta però non lo fa per il suo testo, né per il suo significato politico, a volte messo in discussione. Stavolta, torna al centro del dibattito mediatico per una modifica nella sua esecuzione ufficiale: il “sì” finale, storicamente inserito da Novaro, non dovrà più essere pronunciato nelle cerimonie militari.
L’ordine del Ministero
Nei corridoi del Ministero della Difesa è infatti circolato un ordine perentorio, contenuto nel “foglio” dello Stato Maggiore della Difesa del 2 dicembre scorso, che interviene direttamente sulla modalità di esecuzione dell’inno.
Secondo quanto si apprende, la disposizione — arrivata al Comando Generale della Finanza su carta intestata “Generale di Divisione Addetto” e firmata dal Generale di Divisione Gaetano Lunardo, Capo del I Reparto dello Stato Maggiore dell’Esercito — stabilisce che, in occasione di eventi e cerimonie militari di rilevanza istituzionale, ogniqualvolta venga eseguito “Il Canto degli Italiani” nella versione cantata, il tradizionale “sì!” conclusivo non dovrà più essere pronunciato.
In calce poi, anche un decreto presidenziale pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 maggio 2025, al quale si fa riferimento, ma che, tuttavia, non menziona esplicitamente l’eliminazione del “sì” finale, limitandosi a richiamare le indicazioni formali relative all’esecuzione del canto.
Perché cambia l’inno?
Ma perché intervenire proprio ora su uno dei simboli più riconoscibili dell’identità nazionale, per di più in un contesto geopolitico particolarmente delicato? Dal Quirinale arrivano rassicurazioni: nessuna scelta politica, nessun messaggio implicito legato al conflitto in Ucraina o alla postura internazionale dell’Italia. Si tratterebbe, piuttosto, di un adeguamento tecnico, sollecitato dal mondo della musica e dalle bande militari, volto a uniformare l’esecuzione dell’inno al testo originario di Mameli.
Ed è proprio su questo punto che emergono le maggiori perplessità. Se è vero che nel testo autografo di Mameli il “sì” finale non compare, lo stesso non si può dire dello spartito di Michele Novaro, che mise in musica il canto introducendo quel monosillabo come scelta espressiva e licenza formale. Una tradizione esecutiva che, nel tempo, si è consolidata e che ritroviamo anche nella celebre interpretazione del 1961 di Mario Del Monaco, indicata dal Quirinale come fonte storica, nella quale il “sì” è chiaramente presente.
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