27.12.2025
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Politics

il purismo batte la tradizione popolare


IL CASO

Contrordine italiani, nella Patria della lingua “dove il sì suona”, il “sì” non suonerà più.

Era l’affermazione finale che cantavamo in risposta alle ultime e profonde parole del nostro inno (“l’Italia chiamò”) e noi, in coro, “sì”. Quella così bella e positiva espressione che rispecchia l’animo italiano e accompagna la nostra Storia antica e recente meglio di un qualsivoglia trattato sull’italianità, è stata messa in fuorigioco dalla Gazzetta Ufficiale, addirittura. Dopo un uso formale e popolare durato ventisei anni, cioè da quando l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, al Quirinale dal 1999 al 2006, fece riscoprire a tutti il piacere e il valore dei simboli nazionali.

Simboli fino a quel momento ignorati, snobbati, perfino derisi dalla politica imperante. Che era in buona parte allergica a dire pane al pane e Italia all’Italia – eravamo solo un “paese”, spesso scritto con la minuscola – e a mettere il Tricolore nei simboli dei loro partiti. Figurarsi a rispolverare l’inno, che infatti non si eseguiva nei congressi della maggior parte delle forze politiche della prima e patriotticamente indifferente Repubblica. Poi arrivò Ciampi e disse che il Re era nudo: ciò che era rimasto sepolto nel cuore dei cittadini, l’amor di Patria, fu finalmente “sdoganato”. Cominciò a fare notizia non più il solitario che cantava Mameli (come dimenticare l’imbarazzante scena muta della Nazionale di calcio campione del mondo nel 1982?), ma chi stonava nel coro, cioè l’unico a bocca chiusa.

Ma attenzione, il mondo alla rovescia era quello di prima, perché ovunque nel pianeta Terra gli abitanti di una Nazione provano brividi felici dietro la schiena nel condividere in pubblico il canto della loro Patria. Adesso ci hanno tolto la ciliegina del “sì” conclusivo ed empatico, che non s’ha più da fare, secondo un decreto presidenziale, che cita un proponente decreto della presidenza del Consiglio. Accadde il 14 marzo 2025. Il testo sembra innocuo burocratese. Invece è la sforbiciata al “sì” del nostro Canto.

IL DIBATTITO

E allora, escludendo ovviamente che Sergio Mattarella o Giorgia Meloni abbiano perso un minuto del loro tempo per disquisire se lasciare oppure tagliare l’italico “sì”, pare che il dibattito sia di stampo storico e culturale, e perciò forse da riferirsi a solerti e colti funzionari in questa, quella o altre labirintiche istituzioni, Difesa compresa, o no? Comunque essi si sarebbero posti il seguente e drammatico dilemma: meglio tornare al testo originale di Goffredo Mameli, che il “sì” non prevedeva per il “Canto degli Italiani”? Oppure far prevalere lo spartito musicale originale di Michele Novaro, che il sì invece includeva?

Nel surreale braccio di ferro compiuto più di un secolo e mezzo dopo in nome di un purismo di cui s’ignorava l’esistenza, Mameli ha battuto Novaro e la Gazzetta Ufficiale ha sancito la vittoria postuma del primo. E la nostra – di popolo italiano – sconfitta a sorpresa dopo un quarto di secolo in cui, inconsapevoli, stavamo dalla parte di Novaro.

Certo, quanto sarebbe piacevole scoprire che nelle istituzioni e nella cultura, nell’economia e nell’informazione si discute animatamente su come rendere al meglio l’inno e tutto ciò che richiama all’Italia qui e nel mondo. Il futuro della memoria della Nazione italiana: grande dibattito. Temiamo, però, che il “sì” espunto non sia stato il frutto di un erudito confronto tra l’Accademia della Crusca, il Parlamento, il Maestro Riccardo Muti (al quale il “sì” finale non piaceva) e quanti a ogni livello amano e rappresentano l’italianità. E il fatto che se ne sia accorto solo “Il Fatto” con nove mesi di ritardo, testimonia che un così importante dettaglio – che dettaglio non è –, è sfuggito ai veri interessati, ossia agli italiani chiamati a cantarlo. Quasi una pratica da sbrigare giusto per indicare alle “bande interforze” come eseguire l’inno. Tuttavia, se conosciamo un po’ gli italiani, difficilmente la Gazzetta Ufficiale riuscirà a cancellare la tradizione popolare del “sì”: la rivincita di Novaro si farà sentire.

federicoguiglia.com

Federico Guiglia

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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