24.12.2025
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Economy

le tariffe di Trump provano a rimandare la resa dei conti


Diamo la parola al filosofo e teologo danese dell’Ottocento Søren Kierkegaard che nei suoi diari («Papirer») così lamentava: «La nave è ormai in mano al cuoco di bordo e quel che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani». Così avrebbe lamentato il mondo, dopo quel fatidico 4 di aprile, quando Donald Trump annunciò al mondo, senza un assenso del Congresso, che l’America avrebbe stracciato i trattati di libero scambio già firmati, ignorando le regole del WTO e sparato dazi a destra ea sinistra, a Nord ea Sud, a Est ea Ovest (e se ci fossero stati altri punti cardinali, avrebbe colpito anche quelli…). Cosa c’era dietro quell’affannoso affondo?

Il grafico mostra come nel dopoguerra gli americani non abbiano smesso di vivere al di sopra dei loro mezzi, spendendo, spandendo e arrivando ad accumulare una posizione patrimoniale netta sull’estero negativa, pari a una trentina di trilioni di dollari, un immenso 95% del Pil americano. Trump potrebbe dire: basta, è un’emergenza, bisogna correggere, e metto i dazi. Il resto del mondo potrebbe dire: abbiamo finanziato i vostri deficit per tutto il dopoguerra (è dal 1952 che i ‘deficit gemelli’ hanno il segno meno), non è vero che ci siamo approfittati di voi, siete voi che vi siete approfittati di noi… Comunque sia, Trump ha messo i dazi.

LE RADICI

Perché? Abbiamo già argomentato, nella prima e seconda puntata di questi ‘bollettini’, come la vera ragione dei deficit con l’estero americani sia altrove, e come i dazi non saranno capaci di ‘liberare’ l’America (come auspicato nel famoso ‘Liberation Day’). Allora, perché sono stati introdotti?

Il professor Richard Baldwin (insegna economia all’”International Institute for Management Development”, a Losanna), ha scritto un libro in proposito – «The Great Trade Hack: How Trump’s Trade War Fails and the World Moves On» – e propone – la proposta è convincente – che i dazi affondano le radici in una “Dottrina della Lagnanza”: il protezionismo tende a soddisfare le pulsioni dei suoi elettori. Lasciamo perdere l’obiettivo statuito di fabbricare più cose in America: i dazi non sono un mezzo per raggiungere uno scopo, sono lo scopo: «Le misure sono visibili, aggressive, ed emotivamente soddisfacenti per una base elettorale convinta che l’America sia stata ingannata e umiliata… sono emotivamente coerenti, ma economicamente incoerenti – e per questo non raggiungeranno gli obiettivi dichiarati».

Ma poteva Trump, tecnicamente, imporre i dazi senza un assenso del Parlamento? I dazi sono una tassa, e in America, come da noi, il ‘Power of the Purse’, il ‘potere di tassare’, appartiene al Congresso. Il Presidente lo ha fatto lo stesso, appellandosi a una legge, lo “International Emergency Economic Powers Act (IEEPA)”, che consente, in condizioni, appunto, di emergenza, di procedere senza l’assenso del Congresso. Trump argomentò che il deficit commerciale degli Stati Uniti minava la sicurezza nazionale: insomma, l’economia era in emergenza e bisognava fare qualcosa (allo stesso tempo, ripeteva a destra e a manca, che l’economia stava benissimo e andava verso un boom mai visto…).

Come era prevedibile, il ricorso allo IEEPA è stato contestato in sede giudiziaria: già tre tribunali hanno deciso che i dazi non erano giustificati, e ora la cosa è andata alla Corte Suprema, che il 5 novembre ha iniziato le deliberazioni. Si attende il verdetto. Certo, la maggioranza dei nove membri della Corte pende verso i repubblicani, ma non si vede come possono giustificare, per esempio, quel che ha fatto Trump per il Brasile: l’ex presidente brasiliano, Bolsonaro, si oppone con violente manifestazioni all’elezione che ha portato a una sua mancata riconferma (un evento che ritraccia quel che ha fatto Trump il famoso 6 gennaio 2022). Il governo brasiliano lo portò in tribunale. E il presidente americano, indignato del fatto che il suo amico Bolsonaro fosse messo sotto accusa, colpì il Brasile con dazi al 50%. Dov’è l’emergenza economica per l’economia americana?

Sono massicce le dosi di incertezza che i dazi trumpiani hanno iniettato nell’economia mondiale. Il grafico mostra un indice (calcolato sulla base della frequenza della parola ‘incertezza’ o affini nei rapporti in inglese su 167 Paesi coperti dalla «Economist Intelligence Unit») che vede svettare questa scomoda emozione, da quando Trump è arrivato, a livelli molto più alti rispetto anche agli anni della Grande recessione o della pandemia.

LA SFIDA

Se foste un imprenditore esposto alla concorrenza internazionale, andreste a investire in una fabbrica senza sapere quali saranno i dazi degli altri Paesi che colpiranno i vostri clienti e senza sapere quali saranno i dazi del proprio Paese che colpiranno gli input di cui avete bisogno e senza sapere il livello di protezione che vi danno questi dazi? E la sabbia negli scambi è solo uno dei danni causati dal ‘cuoco di bordo’ che siede alla Casa Bianca. I T-Bond americani – baluardo e pietra angolare dei mercati obbligazionari del mondo – rischiano di essere ormai trattati come titoli di seconda fila (hanno perso la Tripla A, e gli investitori si fidano dell’Italia più che dell’America – il Tesoro americano deve pagare, per i T-Bond, più di quello che il nostro Tesoro paga per i Btp). E, a livello geopolitico, l’America non è più garante di una ‘Pax Americana’: ha seminato discordia e sfiducia in amici e nemici.


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