Il redde rationem è dietro l’angolo, quattro giorni appena per decidere del futuro dell’Ucraina. E non è questione di territori, di uomini in forza all’esercito giallo blu, di garanzie di sicurezza solide da definire o di elezioni da indire a stretto giro, temi parimenti vitali. A Bruxelles la partita decisiva si gioca sui soldi, ovvero sulle risorse da drenare a Kiev per continuare a combattere, per non lasciare che Golia abbia la meglio su Davide mandando a monte 4 anni di resistenza. Servono soldi, una montagna di soldi: stando alle stime del Fondo monetario internazionale, 135,7 miliardi di euro nel 2026-2027, di cui 71,7 miliardi solo l’anno prossimo. Giovedì il Consiglio europeo è chiamato a sciogliere uno dei nodi più ingarbugliati da quel 22 febbraio in cui ci svegliammo con la guerra nel cuore dell’Europa: decidere dove prendere le risorse per continuare a sostenere Kiev, ora che gli Usa a guida Trump si sono sfilati, lasciando l’Ue col cerino in mano. Venerdì scorso il primo passo, quello più semplice da compiere, con il via libera degli Stati Ue alle sanzioni che immobilizzano permanentemente gli asset russi, precondizione necessaria per usarli e finanziare un prestito di riparazione da 90 miliardi da dare a Kiev. Ma che alla fine la soluzione passi da lì, dai cosiddetti frozen asset, è tutto da vedere. E il fatto che il regolamento votato venerdì a Bruxelles non faccia alcun riferimento al prestito di riparazione all’Ucraina la dice lunga sull’aria che tira nelle Cancellerie europee. L’Italia frena, ma è in buona compagnia. «Giovedì a Bruxelles cadranno molte maschere e si capirà che i dubbi sono molto più diffusi di quanto si creda…», assicurano fonti vicine a Giorgia Meloni. La premier continua a nutrire timori soprattutto sulle contro-garanzie che tutti gli Stati membri dovrebbero assicurare per scudare il Belgio, il Paese che detiene gran parte delle riserve russe e chiede al resto dell’Ue di condividere onori e oneri di un’operazione che rischia di rivelarsi un azzardo. Se Mosca, che ieri ha annunciato ritorsioni contro un blocco che considera «un vero e proprio ladrocinio», dovesse adire le vie legali ed aver la meglio, ogni singolo Paese europeo verrebbe chiamato a pagare conto. Un rischio che la presidente del Consiglio non vuole correre. Per questo è pronta a battersi, a dire la sua per caldeggiare soluzioni alternative.
LA VIA MAESTRA
A cominciare da un prestito che regga sul bilancio dell’Unione europea evitando così di gravare sui conti dei singoli Stati membri. Per Meloni resta questa la via maestra. Anche se sulla strada c’è un ostacolo grosso quanto un elefante: il niet di Viktor Orbàn, il bastian contrario dell’Ue, pronto a mettersi di traverso soprattutto quando c’è da ragionare di Ucraina. E per accendere un prestito contando sul bilancio dell’Ue serve l’unanimità, il sì dei 27. Per la presidente del Consiglio un’impresa difficile ma non impossibile: «bisogna tentare di convincere Viktor, portare avanti una moral suasion su Budapest fino allo sfinimento». Per lei il minimo sindacale considerando i rischi potenziali legati all’uso dei frozen asset. Che passano anche dalle possibili ritorsioni sulle aziende italiane che continuano a lavorare in Russia, muovendo affari per miliardi di euro.
Ma c’è un’alternativa a cui in queste ore guardano i meloniani. Ed è quella relativa al rimborso del debito acceso per il Next Generation Eu, quasi 700 miliardi che gli Stati membri devono restituire in sette anni a cominciare dall’anno prossimo. L’idea che si fa spazio nelle file di Fdi è spalmare il rimborso settennale su un arco temporale più lungo, così da liberare risorse fresche per l’Ucraina. Consentendole di continuare a difendersi senza mettere a rischio i conti dei Paesi che la sostengono. «Del resto — ragiona uno dei fedelissimi della presidente del Consiglio — sono regole che l’Ue si è data e che l’Ue, davanti a un’emergenza come quella ucraina, può rivedere, facendo di necessità virtù. È una opzione molto meno pilatesca di altre sul tavolo». Compresa quella dei frozen asset, per Matteo Salvini «un azzardo e un’imprudenza. Non siamo in guerra contro la Russia e confiscare beni e soldi ha una controindicazione evidente: i russi faranno altrettanto. A Bruxelles qualcuno sta scherzando col fuoco». Più cauto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che distingue tra congelamento e utilizzo dei beni. «Abbiamo approvato il blocco degli asset russi, ma questo non implica automaticamente il loro impiego per finanziare l’Ucraina», ha spiegato, sottolineando le «serie perplessità giuridiche» sul dossier. «Se dovessimo perdere un contenzioso — ha messo in guardia — ci sarebbe un danno d’immagine per l’Italia e per l’Europa». Della questione torneranno a occuparsi anche i volenterosi, domani sera attesi a Berlino dove Donald Trump ha inviato Steve Witkoff . Oggi intanto nella capitale tedesca si vedranno i consiglieri di politica estera — per l’Italia ci sarà Fabrizio Saggio — per continuare a lavorare sul processo di pace, con un occhio attento soprattutto alle garanzie di sicurezza per Kiev. Ma per arrivare alla pace servono anche i soldi. Una montagna di soldi. E da qualche parte l’Europa dovrà pur trovarli.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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