18.12.2025
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Politics

«Meloni esca dal palazzo. Ora il programma»


ROMA Un’ora e venti di discorso, intervallato da circa quaranta applausi — incluse le standing ovation sul consenso libero e attuale e il riconoscimento dello stato di Palestina — e nessun voto contrario sulla relazione presentata. All’Auditorium Antonianum è il giorno di Elly Schlein in versione meno “di lotta” e più “di governo”. Quella a cui spetta chiedere all’assemblea del Pd «impegno» sul no al referendum sulla giustizia» e «partecipazione» al percorso programmatico che verrà avviato da gennaio. Ma pure quella chiamata a disinnescare i distinguo interni a colpi di «serve più rispetto tra noi», promettendo più spazi di confronto. Anche se alle fisiologiche frizioni con i riformisti, questa volta si è aggiunta pure l’insofferenza della sinistra del partito per l’ingresso in maggioranza dell’area di Stefano Bonaccini.

IL GUANTO DI SFIDA

Non si è trattato solo di mettere in piedi un “contropalco” per Atreju: nella sua relazione fiume, ben più lunga dell’intervento quasi in contemporanea fatto dalla premier, la segretaria dem ha stilato una vera e propria dichiarazione di intenti contro le politiche portate avanti dal governo di Giorgia Meloni: dall’aumento della pressione fiscale al caro-vita, passando per i tagli su sicurezza e comuni in combinato disposto con una manovra nel «solco dell’austerità», e a cui si uniscono le ambiguità in politica estera («Da vassalli non si difende l’interesse nazionale»). Una realtà, affonda Schlein, «che non vedrete su “tele-Meloni”», dove — spiega — si ripete che va tutto bene: «Meloni esca da palazzo Chigi, faccia un giro». Nella nuova mise “di governo”, però, criticare non basta: serve anche mettere sul piatto una ricetta di «alternativa». Schlein lo fa a partire dall’indicazione di cinque «priorità»: sanità, con tre miliardi in più per le assunzioni, lavoro e salario minimo, istruzione e ricerca, politiche industriali nella transizione ecologica, e poi diritti. Da queste partirà, già da gennaio, «un grande percorso programmatico per il Paese e nel Paese», un «tour» per ascoltare l’Italia, rilancia Schlein. Che per la prima volta si espone sul referendum della giustizia, chiedendo ai suoi «l’impegno per il no». La corsa per Palazzo Chigi è fatta anche di numeri, che Schlein sciorina guardando alle ultime regionali: «I voti assoluti dalla nostra coalizione e quella del governo sono sostanzialmente pari ma se aggiungiamo le civiche e i voti ai presidenti siamo nettamente avanti noi. È la dimostrazione che la partita per le Politiche è apertissima». Una ricorsa che serve alla segretaria per rispondere al quasi alleato Giuseppe Conte, che solo poche ore prima aveva rivendicato di non essere alleato a nessuno. L’alternativa, parola di Elly Schlein, «è nei fatti». Imperativo categorico per il partito «perno della coalizione», quindi, è guardare al bicchiere mezzo pieno: «Non enfatizziamo le differenze, le comporremo».

IL FRONTE INTERNO

Se il lancio del guanto di sfida riesce senza troppe difficoltà, meno facile, per la leader dem, è spegnere i bollenti spiriti che animano le diverse anime del partito. Se c’è un punto che le mette tutte d’accordo, però, è che «ormai è iniziata la campagna elettorale». Una consapevolezza che motiva il plebiscito sul voto finale della relazione, avvenuto senza sorprese: 225 voti favorevoli, 36 astenuti e nessun voto contrario. A marcare le distanze, nonostante l’«apertura di credito» nei confronti della segretaria, sono i riformisti capitanati da Pina Picierno e Lorenzo Guerini, che chiedono una posizione più netta sull’Europa e sull’Ucraina, ma anche più fermezza nei confronti del leader M5s: «Nel nostro campo non ci può essere spazio per un trumpismo o un putinismo mascherato», attacca proprio Picierno, per cui «non se ne uscirà recitando la formula rassicurante “testardamente unitari”». A storcere il naso è stata pure una parte del correntone di Montepulciano, nel dettaglio l’area più di sinistra del partito, che non avrebbe gradito l’entrata in maggioranza della corrente di Stefano Bonaccini, senza un chiarimento della linea del partito. Tant’è che c’è chi come Sandro Ruotolo ha tuonato contro chi usa il partito come «un taxi», spalleggiato da Marco Sarracino («solo con la convinzione e non con la convenienza possiamo vincere le elezioni»). L’opinione che serpeggia tra alcuni è che Schlein, in questo modo, si sia «allontanata sia dalla “destra”, che dalla “sinistra” del partito». Aspetto che giustificherebbe anche «la bassa percentuale di votanti a fronte di 978 aventi diritto, mentre a Montepulciano i registrati erano più di 1900». Con grande fatica poi, è toccato al responsabile Organizzazione Igor Taruffi provare a disinnescare un nuovo scontro tra Francesco Boccia e Graziano Delrio, sulla scia delle recenti polemiche relative al ddl sull’antisemitismo: «Una cosa è rappresentare sé stessi, un’altra è rappresentare tutti gli altri quando tutti gli altri non sono d’accordo», la stoccata di Boccia che ha mandato sulle furie l’ex ministro, pronto a controbattergli in assemblea prima del confronto pacificatore a tre incentivato da Taruffi. A Schlein l’ultima parola: «Dobbiamo imparare a rispettarci di più. E così che dovremmo fare sentendoci tutti sotto lo stesso tetto, parte della stessa comunità».


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