08.12.2025
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Science

le impronte e la nuova scoperta dei geologi


Un gruppo di geologi ha individuato sul Monte Conero, nelle Marche, impronte fossili incastonate in una parete rocciosa: secondo gli esperti potrebbero appartenere a un grande gruppo di tartarughe marine preistoriche in fuga da un potente terremoto avvenuto circa 80 milioni di anni fa, quando l’area era parte di un antico oceano. La scoperta, descritta sulla rivista scientifica Cretaceous Research, è considerata unica a livello mondiale: si tratta infatti delle sole impronte note di rettili marini rimaste impresse su un antico fondale oceanico. Il ritrovamento è avvenuto quasi per caso: nel 2019 alcuni free climber, autorizzati dal Parco del Conero a scalare una parete solitamente inaccessibile per rischi di frana, hanno raggiunto un tratto verticale che domina la Spiaggia della Vela, sul versante settentrionale del Conero.

Un enigma da decifrare

Arrivati sulla parete, gli scalatori hanno osservato una distesa di impronte arcuate, profonde fino a 10 centimetri e larghe circa 20, distribuite su una superficie di circa 200 metri quadrati.

Senza riuscire a capire cosa potesse averle originate, hanno fotografato tutto e mostrato gli scatti ad Alessandro Montanari, direttore dell’Osservatorio di Coldigioco, grande conoscitore della Scaglia Rossa, la formazione rocciosa che nel Cretaceo costituiva il fondo della Tetide, l’antico oceano dove in seguito fu individuata anche la traccia dell’asteroide responsabile dell’estinzione dei dinosauri. Per ricostruire l’origine delle misteriose tracce, i geologi sono tornati sul posto con un drone e hanno prelevato campioni di roccia. Le analisi al microscopio hanno rivelato che la parete è composta da calcare pelagico, formatosi dal lento deposito sul fondo marino dei resti calcarei di organismi planctonici. I campioni sono risultati essere biomicriti pelagiche, cioè fanghi profondi composti da coccoliti e frammenti di plancton, e la loro datazione li colloca a circa 80 milioni di anni fa, quando la penisola italiana non esisteva e l’area era sommersa dall’oceano Tetide.

Come si sono conservate

Le impronte si sono mantenute grazie a uno strato superiore di torbidite: una valanga sottomarina di sabbie e fanghi che ricoprì rapidamente il fondale, trasformandosi nel tempo in calcare e sigillando le tracce. Le analisi suggeriscono che questa valanga non fu causata da una tempesta, ma da un violento terremoto. L’epoca corrisponde a un periodo di raffreddamento climatico globale, provocato dalle polveri generate da una massiccia pioggia di meteoriti esplosa in atmosfera, che ridusse l’irradiazione solare. La successiva risalita del livello dei mari, quando la polvere si dissipò e i ghiacci si sciolsero, causò variazioni di pressione sulla crosta terrestre, attivando un’intensa attività sismica nella zona.

La ricostruzione dell’evento

Secondo gli studiosi, le impronte testimoniano la fuga massiccia di molte tartarughe, specie oggi estinte e in alcuni casi lunghe fino a 4 metri. Un terremoto improvviso avrebbe spinto gli animali a dirigersi verso il mare aperto, lontano dall’epicentro. Nel panico, alcune avrebbero nuotato troppo vicino al fondale, imprimendo le loro pinne nel sedimento morbido, che fu poi immediatamente ricoperto dalla valanga sottomarina generata dallo stesso sisma. Un meccanismo simile è noto nel celebre Burgess Shale canadese, dove gli organismi si sono conservati grazie al rapido collasso di piattaforme rocciose. Le impronte del Conero si aggiungono ad altri importanti ritrovamenti italiani: tra i più celebri ci sono le 4.000 tracce della Cava Pontrelli di Altamura, risalenti al Cretaceo superiore e attribuite a diverse specie di dinosauri erbivori e carnivori. Altre impronte di dinosauri sono state rinvenute in Puglia, a Borgo Celano, e sul Monte Cagno in Abruzzo, dove è stata trovata la più grande orma di un teropode bipede mai scoperta nel Paese.


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