«Dobbiamo salvare dalla desertificazione dei negozi le città, a partire dalle periferie, e i piccoli borghi, con canoni calmierati e incentivi pubblici e privati per riattivare i locali sfitti adattabili a negozi. Servono poi dei programmi e dei patti tra Stato, enti locali e aziende private per rilanciare i quartieri, rendendoli più vivi e appetibili per le attività commerciali, anche con gli accordi immobiliari per gli spazi di comunità». Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, è preoccupato per la crisi nera delle attività commerciali, ma spinge il sistema-Paese a non arrendersi passivamente a quello che sembra un’inarrestabile crollo degli acquisti nei piccoli negozi artigiani e di quartiere, sostituiti da Bed and breakfast e ristoranti da una parte e dagli acquisti sulle piattaforme online dall’altra.
Presidente, quali sono i rischi che corriamo come Paese con la desertificazione commerciale che denunciate?
«Non è solo una tendenza economica, ma un fenomeno che sta cambiando il volto delle nostre città. L’aspetto che preoccupa di più è che rappresenta un drammatico segnale di indebolimento profondo della vita urbana: meno sicurezza, meno incontri, meno comunità. È una perdita che si sente nella quotidianità delle persone, prima ancora che nei dati. E quindi lo dico con chiarezza: o si interviene adesso, oppure in pochi anni rischiamo di trovarci davanti città fantasma, soprattutto tra periferie e piccoli borghi».
O città case vacanza, visto il boom dei B&b, mentre gli acquisti si fanno online. Cosa significano i negozi per le città?
«Le attività di prossimità sono un presidio sociale ed economico fondamentale. Davanti ai negozi sotto casa passano relazioni, ascolto, sicurezza. Da queste imprese deriva la capacità di costruire fiducia e la possibilità di sentirsi parte di un luogo».
Come frenare la corsa dei negozi a chiudere le serrande?
«Servono politiche fiscali più eque, percorsi di credito accessibili, strumenti che le aiutino a stare al passo con la trasformazione digitale e con i nuovi modi di vivere la città. In sinergia tra Stato, enti locali e aziende dobbiamo rilanciare i quartieri, rendendoli più vivi e appetibili per le attività commerciali, anche con gli accordi immobiliari per gli spazi di comunità. Se vogliamo comunità vive e solide, dobbiamo partire da chi ogni giorno apre una serranda e crea valore per i territori».
Più concretamente, a quali risorse si può attingere?
«Abbiamo bisogno di una strategia nazionale che crei un coordinamento stabile delle politiche urbane e metta in sinergia i diversi programmi e le risorse europee e nazionali. A livello regionale, occorre valorizzare e rendere più omogenea l’esperienza dei Distretti urbani dello sviluppo economico. A livello comunale, quindi, servono programmi pluriennali per l’economia di prossimità. Ma anche strumenti che mettano insieme patti locali per la riattivazione dei locali sfitti, con canoni calmierati e incentivi coordinati tra pubblico e privato, l’accompagnamento all’avvio d’impresa, la logistica urbana sostenibile, il welfare territoriale e i partenariati con il mondo immobiliare».
Per fare tutto ciò servono diversi miliardi nei prossimi anni.
«Diciamo che servono politiche mirate e risorse adeguate. E le risorse si possono trovare nei fondi destinati alla rigenerazione, nei programmi europei già attivi, nelle partnership tra pubblico, privato e mondo immobiliare. Ma vanno usate con una logica chiara: trasformare gli spazi sfitti in luoghi vivi, riportare servizi nei quartieri, sostenere imprese che generano coesione. La sola Regione Lombardia, per fare un esempio, ha destinato 57 milioni di euro, tra 2022 e 2024, per i Distretti».
Nel frattempo avete lanciato il progetto “Cities” per avviare questa rigenerazione urbana?
«Sì, è lo spirito del progetto e della grande iniziativa che abbiamo organizzato il 20 e 21 novembre prossimi a Bologna su questi temi: favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città. In una parola, disegnare le città del futuro. Aiutare i territori a non rassegnarsi al declino e costruire insieme una nuova vitalità urbana non è un lusso: è un diritto delle persone, residenti e turisti».
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