Natale si avvicina, e il vicequestore Rocco Schiavone è orripilato dai cori di Tu scendi dalle stelle, dalle lucine intermittenti, dall’agitazione da acquisto compulsivo. Last Christmas e All I want for Christmas is You si contendono il podio di canzone più gettonata, e il nostro romanaccio in esilio ad Aosta è tentato di rivedere la sua personalissima scala delle rotture di c… e di promuovere la musica natalizia dall’ottavo al nono posto, dove ancora campeggia «il rotolo di alluminio difettoso». È l’inizio di Sotto mentite spoglie, il nuovo romanzo di Antonio Manzini dedicato a Rocco Schiavone, appena uscito in libreria per Sellerio e subito in testa alle classifiche dei libri più venduti.
L’AMICA
Rocco continua a recarsi in ospedale, per sincerarsi delle condizioni di Sandra Buccellato, la giornalista ex moglie del questore Costa. Lei è entrata prepotentemente nel suo cuore. Ma il vicequestore non è ancora pronto ad ammetterlo, innanzitutto a sé stesso, e non va mai a trovarla in corsia. Ma quando gli dicono che è finalmente stata dimessa e che sta bene, si festeggia a base di tramezzini, con i colleghi di sempre, da D’Intino a Deruta. La ruvidezza è la sua natura, la disperazione il suo pane. «Non gli restava che il vino la sera e la maria la mattina. Un po’ poco. Come fermare un pullman senza freni in discesa con i talloni».
LA SFIDA
Il vicequestore più politicamente scorretto d’Italia deve subito affrontare una sfida inedita, nel sonnecchioso capoluogo della Vallée. Un commando di rapinatori ha preso d’assalto la Cassa di Risparmio, e ci sono degli ostaggi. Ma presto si capisce che qualcosa non torna. L’agente Ugo Casella è tra gli ostaggi, e il suo telefono viene usato per le trattative. Sembra un thriller americano, ma in realtà è commedia dell’arte. Rocco implora di rilasciare, almeno, gli ostaggi più anziani o malati. E alla fine gli danno retta. Salvo poi scoprire che la coppia di ragazzi che chiedevano di potersi iniettare subito l’insulina erano parte del commando. E anche la signora che riesce a farsi largo, con gli occhiali Ray-Ban, lenti azzurrate e bocca carica di rossetto, anni dichiarati 78, è chiaramente un’ottima attrice. Così, quando gli agenti fanno finalmente irruzione in banca, non c’è più nessuno. E nel caveau aperto grazie alla combinazione arrivata via messaggino, manca solo il contenuto di una cassetta di sicurezza, la 57, che risulta vuota e forzata. Cosa conteneva? Diamanti, del valore di milioni di euro, regolarmente assicurati. Almeno, così sembra.
Perché questa assurda messinscena? Rocco sui giornali viene coperto di ridicolo: si direbbe la peggiore figuraccia della sua vita. Ma qualcosa non torna. Un cadavere (ancora) senza nome viene ritrovato in un lago, incatenato a 150 chili di pesi. Un chimico di un’azienda farmaceutica che sta ultimando dei test clinici sparisce senza lasciare traccia. Va malissimo per Rocco, che però non si arrende, e comincia a mettere insieme i puzzle di un mistero che sembra irrisolvibile. Mentre ad Aosta cadono fiocchi di neve, la squadra di Schiavone si ricompatta.
MICROCOSMO
Il meccanismo a orologeria del nuovo giallo di Manzini — che continua ad allungare la stessa saga dai tempi di Pista nera (2013) — è come sempre ben costruito. Il microcosmo in cui Rocco si muove è il microcosmo di sempre, con piccole aggiunte. Un ecosistema che resta lo stesso della serie tv — di cui lo stesso Manzini è sceneggiatore. Una fiction di successo che è stata confermata per la settima stagione: Marco Giallini resta l’incontrastato protagonista. L’inizio delle riprese è previsto per la prossima primavera.
IL SUCCESSO
Gran parte del successo della serie, di romanzi e fiction, è dovuta all’indovinato personaggio principale. Un poliziotto che ancora parla con la moglie morta ammazzata molti anni prima (ma sempre di meno), e che nell’amore non sa decidersi, come un ragazzino timido. Nel romanzo Rocco si chiede se deve chiamare Sandra (a cui aveva, in precedenza, salvato la vita) per felicitarsi del suo ritorno a casa. Ma apparire gli sembra fuori luogo. «La verità è che se si fosse fatto vivo avrebbe abbassato la guardia e lei avrebbe capito più di quanto c’era da capire». O forse era ancora peggio di così. Perché «quello che lo tratteneva dal chiamarla era la lontana possibilità di leggere negli occhi di lei o nella voce qualcosa che assomigliasse alla gratitudine». C’è sempre una diffidenza di fondo, nei confronti degli altri: sono «come i laghi», che «in superficie sono calmi, quasi stagnanti, ma sotto possono avere parecchie sorprese».
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