Sono passati sei anni da quando, scoppiato il caso Palamara, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un discorso al plenum straordinario del Csm, condannò «il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato». E proprio quelle logiche correntizie, la loro degenerazione e i veleni portati alla luce dal caso dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, hanno riacceso i riflettori sulla necessità di una riforma della giustizia.
LA DIVISIONE
Alla base un principio: due carriere, due Csm. Secondo la riforma, all’attuale Consiglio superiore della magistratura (Csm) ne subentreranno due: uno «della magistratura giudicante» ed uno «della magistratura requirente». Entrambi saranno «presieduti dal Presidente della Repubblica» e «ne fanno parte di diritto» rispettivamente «il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione». E, proprio per scongiurare il peso delle correnti, i due Consigli non saranno elettivi. Ma saranno composti per un terzo da membri laici e per due terzi da togati. I primi saranno estratti a sorte da un elenco di giuristi predisposto dal Parlamento in seduta comune, i secondi saranno sorteggiati tra tutti i magistrati, giudicanti e requirenti, che avranno i requisiti che stabilirà una legge ordinaria successiva. Non solo. I componenti dei due Csm «durano in carica quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva». Inoltre i due Csm perdono i poteri disciplinari oggi affidati ad una Sezione speciale dell’attuale Csm e avranno competenze per quanto riguarda «le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati».
© RIPRODUZIONE RISERVATA



Leave feedback about this