Onorevole Roberto Morassut, Pd, partiamo dalla Toscana. Dato locale o nazionale?
«In Toscana vincono un centrosinistra ampio e un presidente credibile e affidabile. Ci sono ragioni territoriali, del buongoverno ma anche un significato nazionale. Prima di tutto l’unità di tutte le forze della coalizione e una classe dirigente capace. Conte ha pagato un prezzo per mantenere in piedi l’alleanza e credo vada ringraziato. Il dato del calo dei votanti è una tendenza strutturale di questo momento di crisi delle democrazie in tutto l’Occidente».
Il refrain delle ultime ore è che sia stata una vittoria di Giani e non di Elly Schlein, restia, in un primo momento, a ricandidarlo. Concorda?
«Giani ha vinto di suo, come ripeto, ma se non vi fosse stato il paziente lavoro di cucitura anche nazionale per allargare la coalizione che ha svolto Elly Schlein con altri importanti apporti del gruppo dirigente, poteva esserci il rischio di un pericoloso testa a testa».
«Non è vero che la gente non vota. La gente non va più a votare», ha scritto in un post. Se recarsi alle urne è una pratica superata, cosa resta?
«La partecipazione e persino il voto hanno assunto, con un certo uso dei social, un carattere distorto e inflazionato. Non ci rendiamo conto che milioni di persone e noi stessi, ogni giorno, votiamo con un “like” o con una “reazione”. Il risultato è che questa ipertrofia o inflazione toglie valore al voto, una moneta invece preziosa. Penso che il voto elettronico vada considerato come un campo da studiare. “Andare a votare” per molti vuol dire recarsi nel luogo di quella democrazia cui non si crede più. Votare lo fai tutti i giorni dal divano. Qui c’è un dramma ma anche un’opportunità. Resta comunque il tema di rendere le democrazie più forti. In primo luogo riducendo i divari sociali che le stanno minando».
Eppure in migliaia sono scesi in piazza per Gaza e Flotilla…
«Quando ci sono forti principi in gioco e questioni fondamentali come la pace o la guerra e la vita o la morte che entrano e toccano persino quei divani, scatta una reazione. Tra i giovani è fortissima perché sentono sulla loro pelle che il futuro è diventato “corto” tra guerre, ingiustizie e sfida ambientale. Non avvertono ancora il voto come utile per questa loro lotta. Questo è il tema dei partiti, anche il nostro».
Il 14 ottobre 2007 nacque il Pd, ormai maggiorenne: ha capito cosa farà da “grande”?
«Quella data ha cambiato la storia e tutti abbiamo creduto potesse essere l’avvio di una nuova epoca della Repubblica. Poi c’è stata una risacca. In primo luogo a livello mondiale. Dal 2008 è cambiato radicalmente il rapporto tra finanza, reddito, produzione materiale di beni e servizi. Ma anche in Italia. Leggi elettorali incostituzionali, ricadute economiche drammatiche. E nel Pd potrei dire che al pluralismo si è sostituito il correntismo con un decrescente livello del dibattito politico e dell’esercizio democratico. Eppure per fortuna il Pd c’è. Sarei per una nuova Costituente che proposi già nel 2016 ma ne rimando la declinazione».
Veltroni disse: «Finalmente i riformisti italiani hanno un partito». Pensa che il Pd sia ancora la casa dove i riformisti sono i benvenuti?
«Veltroni è stato l’uomo politico che ha messo in campo l’idea di trasformazione della sinistra e della Repubblica più forte e più giusta dopo l’89. Diciotto anni fa sembrava possibile quel sogno e secondo me, a certe condizioni, lo è ancora. Il problema che vedo oggi non sono i riformisti, che a parole si trovano ovunque. Il problema è il riformismo. Allora c’era un progetto per l’Italia e per l’Europa. Col tempo è venuto meno. Un’alleanza politico-numerica e tante ottime proposte non bastano. La destra ha un progetto, invece. Che io combatto. Ma ce l’ha. Il nostro riformismo deve assumere un profilo più nitido».
Renzi ha fatto un po’ di calcoli: Pd, Avs e M5S sono circa al 40%. Per vincere alle Politiche basta un 6-7% e Casa riformista punta al 10. Che altro manca?
«Ha ragione. I numeri ci sono. In questo momento di vigilie elettorali al centro serve un soggetto politico che completi il profilo dell’alleanza: Casa riformista, la Rete civica di Alessandro Onorato. Ma il Pd non deve rinunciare ad essere un grande soggetto politico popolare del 30%. A puntare a quella Costituente di cui parlo da tempo. Perché con la semplice sommatoria di varie forze ci campi una stagione e poco più….»
Lei ha pubblicato e sta per presentare un nuovo libro di poesie. Cosa la spinge a incamminarsi su questo delicato cammino per un politico?
«Non lo so. Mi sono reso conto che avevo e ho bisogno di un linguaggio diverso, più aderente alla realtà. E il linguaggio poetico è il linguaggio della realtà, diceva Heidegger. Dopo di che non sono un poeta. Forse la motivazione è solo il tempo che passa….»
Valentina Pigliautile
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leave feedback about this