La speranza è che tutto tenga, tutto proceda. E regge soprattutto sulle parole di Trump, che ha minacciato Hamas di scatenare l’inferno se non dovesse tener fede ai patti. E così mentre a Gaza la gente scende in strada a far festa, a Roma si lavora per puntellare il ruolo che l’Italia avrà da qui in avanti, quando il piano del tycoon dovrà essere messo a terra, un mattone dopo l’altro. Giorgia Meloni ci mette la faccia sin dalle prime ore del mattino. Per lei è anche una questione di orgoglio, quasi di riscatto personale, dopo esser stata denunciata alla Corte penale internazionale per concorso in genocidio. E aver visto le piazze mobilitarsi muovendo a lei e al suo governo l’accusa di avere «le mani sporche di sangue».
Di solito restia a concedersi ai cronisti, dopo una nota inviata dal suo staff di buon mattino la premier rilascia dichiarazioni al Gr Rai e al Tg1 per suggellare una giornata che considera storica. Dunque riserva parole di miele a Trump, che ha messo a segno un «incredibile risultato» lavorando «incessantemente per la fine del conflitto» insieme ai «mediatori: Egitto, Qatar e Turchia». Ma Meloni mette anche i puntini sulle i, rivendicando quanto fatto dal suo governo in questi due anni d’inferno in Medio Oriente. Con un affondo destinato a chi ha mosso e motivato le piazze: nel mirino la sinistra, intesa come campo largo, ma anche Cgil e Usb. «Sono molto fiera del lavoro silenzioso ma costante dell’Italia, riconosciuto da tutti gli attori in campo. Sempre per ricordare — scandisce — che la pace si costruisce lavorando e non limitandosi a sventolare bandiere». «Complici sì, ma della pace in Palestina», le fanno eco la sorella Arianna, responsabile della segreteria politica di Fdi, in un post e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari.
Ora c’è solo da guardare avanti, ritagliandosi un ruolo nel piano che porterà la pace in Medio Oriente. «L’Italia continuerà a sostenere gli sforzi dei mediatori — spiega la presidente del Consiglio, dopo aver raccontato di essere stata sempre in contatto con i negoziatori, negli ultimi giorni fiduciosa che la stretta di mano arrivasse davvero — ed è pronta a contribuire alla stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo di Gaza».
LE TRE DIRETTRICI
Roma si muove su tre direttrici: governance, contributo alla forza di stabilizzazione e ricostruzione di un territorio raso al suolo. Ma procediamo per gradi. Quando si parla di governance, si fa riferimento soprattutto all’organismo transitorio internazionale — il cosiddetto “Board of Peace” — che sarà guidato da Trump e di cui faranno parte capi di Stato e di governo. Oltre all’ex primo ministro britannico Tony Blair che ha avuto un ruolo di primo piano nella stesura del Piano per la pace, ma che è apertamente osteggiato dai palestinesi e più in generale considerato inaffidabile — per usare un eufemismo — dal mondo arabo. Sul fatto che Meloni entri a far parte del board ci sono pochi, pochissimi dubbi. Complice il rapporto privilegiato con il tycoon, che difficilmente darà vita all’organismo che accompagnerà l’amministrazione palestinese transitoria privandosi di «wonderful Giorgia». «È più facile salti Blair…», la battuta che rimbalza tra le cancellerie europee.
Altro pilastro del contributo italiano, il ruolo da ricoprire nella Forza di Stabilizzazione Internazionale (Isf) che verrà dispiegata a Gaza per addestrare le future forze di polizia palestinesi. L’Italia è pronta a fare la sua parte inviando sulla Striscia 250 carabinieri, uno sforzo che vedrà una rotazione di ben mille uomini (tra riposi, addestramento e mantenimento) che verranno pescati dalle missioni internazionali ma anche sul nostro suolo. E non è tutto. Roma è pronta a dare una mano anche sul disarmo di Hamas. Nonché nello sminamento della Striscia, perché Gaza nasconde una quantità di bombe e missili inesplosi che ogni giorno provocano decine di morti e feriti, un dramma nel dramma. Gli italiani in questo campo sono considerati un’eccellenza internazionale «che verrà messa a disposizione dei palestinesi», spiegano fonti della Difesa. E mentre Tajani vola a Parigi per prendere parte alla riunione tra i ministri degli Esteri europei e i partner arabo-islamici, si ragiona sul ruolo che il nostro Paese avrà nella ricostruzione di Gaza, sul modello di quanto già avvenuto con la Ukraine Recovery Conference. Si punta prevalentemente su una partnership pubblico-privata – spiegano dalla Farnesina – che metta in piedi infrastrutture indispensabili per il popolo palestinese. A partire dagli ospedali. A tre settimane dal cessate il fuoco, l’Egitto organizzerà un vertice sulla ricostruzione dove sicuramente l’Italia non mancherà. Idem se al Sisi dovesse recapitare a Meloni l’invito per la cerimonia di firma dell’accordo tra Israele e Hamas, che l’Egitto intende allargare ad alcuni leader internazionali. Da far accomodare al fianco di Trump.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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