11.10.2025
12 Street, Rome City, Italy
Politics

la sinistra è oltre Hamas»


 Un comizio “glocal”, sospeso fra Gaza e gli ospedali toscani, le rive del Potomac da cui Trump sta facendo scoppiare la pace in Medio Oriente e le stilettate al campo largo, pardon «il Leoncavallo largo». Firenze, piazza San Lorenzo. Giorgia Meloni chiude la campagna elettorale di Alessandro Tomasi con un crescendo di decibel. Calza l’elmetto nella rossa Toscana a due giorni dal voto e si scaglia contro la sinistra italiana che «è più estremista di Hamas» e contro i suoi idoli, o presunti tali. «Hamas ha firmato la pace grazie a Trump» tuona la premier nel giorno della tregua nella Striscia, «non grazie a Francesca Albanese, che insulta la senatrice Segre, a Landini o a Greta Thunberg con la Flotilla».

L’ARRINGA

Discorso duro, a tratti durissimo. Serve ad aizzare la folla di bandiere blu nella roccaforte della sinistra e a convincere la piazza, contro i pronostici, che la rielezione di Eugenio Giani non è una profezia destinata ad avverarsi. Tomasi, sindaco di Pistoia, meloniano doc, è «un candidato di bandiera, sì, la bandiera del cambiamento» arringa i suoi la leader di FdI, «usciamo dalla logica del qui non si può vincere, siamo nati per ribaltare i pronostici». Per farlo cavalca l’onda delle cronache internazionali che, ne è convinta, ora sorridono al governo italiano. La pace a Gaza, per cominciare. «C’è una persona da ringraziare, Trump, presidente degli Usa repubblicano» premette a scanso di equivoci la presidente del Consiglio che forse rivedrà il Tycoon in Egitto lunedì, «non ci facciamo fare la morale da una sinistra sempre più radicalizzata». Ne ha per tutti al comizio con gli altri tre tenori del centrodestra: Matteo Salvini, Antonio Tajani, Maurizio Lupi. La Flotilla, Greta, Albanese, la paladina del fronte pro-Pal contro cui si scaglia violentemente il vicepremier leghista, «Si vergogni e non rompa i cogl…, l’Onu dovrebbe licenziarla» mentre sotto palco Tajani, con Il Messaggero, soppesa tutt’altre parole: «Non decidiamo noi sul suo licenziamento». È un crescendo. Uno alla volta i leader della coalizione fanno la voce grossa, aizzano la folla che ricambia con applausi e sbandieramenti coordinati. Il grande assente? Roberto Vannacci: l’ex parà che ha scalato la Lega, toscano, aveva altri programmi: «Ero a Pisa e a Firenze arrivo stasera» si schermisce al telefono. Ma lo spirito e l’eloquio del comizio non sono lontani. Meloni incalza il centrosinistra uscito malconcio dal primo round delle amministrative, nelle Marche e in Calabria. Torna sulle manifestazioni di piazza per Gaza tifate dal «Leoncavallo largo, un enorme centro sociale». Poi rispolvera il discorso sull’ “odio politico” contro il governo già pronunciato nelle Marche, all’indomani dell’omicidio di Charlie Kirk, l’attivista Maga assassinato in Utah che Salvini, a Firenze, ricorda con una t-shirt nera lanciata nel pubblico a mo’ di pop-star. Meloni replica a distanza a Conte, Schlein e compagnia: «Il loro unico collante è l’odio verso di noi, il bisogno di liberarsi di noi costi quel che costi per tornare a gestire il potere». E ancora: «Dicono che devono impedirmi di andare al Quirinale (e qui la stilettata è a Franceschini), ma non spiegano cosa farebbero loro al governo della Nazione». Di tanto in tanto l’obiettivo torna a stringersi sulla Toscana. Meloni blinda il “suo” Tomasi sciorinando i risultati del governo. Uno su tutti: il risanamento del Monte dei Paschi di Siena. «Abbiamo dimostrato che le cose possono andare diversamente. Una banca storica, che altri hanno affossato e volevano svendere e noi invece abbiamo difeso». Batte e ribatte sul punto. «Con la sinistra Mps drenava enormi risorse pubbliche, era a un passo dal baratro, con noi è tornata a essere una banca solida, in buona salute, che fa utili e ti avvia operazioni ambiziose». Una bambina in prima fila urla a squarciagola “grande Giorgia!” senza pause di sorta. Sul palco ogni leader gioca le sue carte per l’arringa finale. Salvini, accompagnato a braccetto dalla compagna Francesca Verdini, «qui a Firenze ho l’amore» dirà lui, sceglie il registro internazionale. Lodi a iosa per Trump a cui vuole dare il Nobel l’anno prossimo, chiede a una signora affacciata al balcone di ripiegare la bandiera palestinese al vento sulla piazza, «appenda quella americana!». Poi cerca l’applauso per Netanyahu, «ha avuto il coraggio di difendere il suo Paese dai terroristi» e l’applauso qui si fa timido, nella pur rossa Firenze. Tajani incassa la ola quando ricorda Silvio Berlusconi, «ci guarda dall’alto e vi saluta». Lupi scherza su un curioso, gigantesco striscione di Fratelli d’Italia appeso a un palazzo. C’è scritto, a caratteri cubitali, «Vota Draghi». Qualche sguardo accigliato tra la folla. Nessun contrordine però: non è per l’ex capo della Bce, ma per un consigliere comunale candidato in Regione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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