06.10.2025
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Politics

«Non è un voto nazionale». M5S, riaffiora il malumore


La botta c’è e si fa sentire. Acuita dai quasi otto punti percentuali di distacco tra Francesco Acquaroli e Matteo Ricci, il doppio rispetto alle previsioni della vigilia, e dal dissolversi della speranza di chiudere il turno elettorale autunnale con un 4 a 2 inflitto al centrodestra.

Questa volta, sulle Marche, i più all’interno del Pd condividono la stessa linea: non drammatizzare. Non solo perché «realisticamente finirà con un tre a tre» (Campania, Puglia e Toscana al centrosinistra; Marche, Veneto e Calabria al centrodestra): «Se ci fosse stato un election day — ragiona fuor di microfono un dem — non staremmo qui a sentir parlare di “sconfitta” del Pd».

Se è difficile non interrogarsi sulle conseguenze di un’elezione caricata fin da subito di una valenza nazionale (era l’unica sfida dall’esito incerto), per molti, però, è presto per tirare le somme: «Il bilancio si farà a novembre quando tutte le urne saranno chiuse». Nessuna richiesta, almeno per ora, di un «confronto interno al Nazareno», né tantomeno il riferimento alla necessità di ridiscutere la linea della segreteria, magari con un congresso: «Sarà una decisione che prenderà Schlein», scuote le spalle un maggiorente di partito, «e in ogni caso non ora».

LA COALIZIONE

Congelato il dibattito sulla leadership, spetta a Igor Taruffi la difesa d’ufficio del progetto della coalizione progressiva, impostato nelle Marche con l’ambizione di poterlo replicare anche nel 2027: «Oggi discutiamo di un’alleanza che c’è in tutte le regioni, solo un anno e mezzo fa commentare un’alleanza di centrosinistra unita e compatta sarebbe stato fantascientifico», dice il responsabile Organizzazione, che si lascia andare a una previsione: «Fra un anno e mezzo saremo in campo per giocarci la vittoria delle politiche». Anche il leader di Azione, Carlo Calenda — che pure ai suoi ha dato libertà di voto — è scettico sull’eventualità che il voto marchigiano possa incidere nel percorso di costruzione di “un’alternativa” a Meloni: «Le elezioni regionali ormai hanno un’affluenza così bassa, che vince chi governa. L’unica cosa che cambia è che ci sono sempre meno persone che votano», perché spiega al Messaggero, «le regioni sono un sistema ormai in crisi, visto come corrotto e incapace di gestire la sanità».

Ma è su questo assetto coalizionale che, tra i riformisti dem, c’è chi già butta giù qualche appunto “pro futuro”. Il primo: il bipolarismo, le campagne polarizzate non pagano perché spingono il ceto medio all’estensione. Secondo: il motto “testardamente unitari” è condizione necessaria ma non sufficiente quando esistono «contraddizioni sui temi cruciali».

È tra gli esponenti dei Cinque stelle che questi dubbi si moltiplicano. E non potrebbe essere altrimenti visto che il risultato finale — il 5,26% — è inferiore a quell’8,6% incassato nel 2020, quanto il M5S corse in solitaria. Numeri che scuotono soprattutto la base sul territorio, già restia ad accettare la candidatura dell’ex sindaco di Pesaro alla notizia dell’inchiesta Affittopoli che lo ha visto coinvolto.

LA BASE 5S

C’è chi motiva la sconfitta — o giustifica l’astensionismo — rimarcando che Ricci non rappresentava davvero il rinnovamento: «Servivano idee e facce nuove». Altri, più duri, parlano di «abbraccio mortale» del Pd.Valutazioni che non lasciano indifferenti “i piani alti” del partito. Come dimostra, forse, la lunga riunione di ieri pomeriggio tra Giuseppe Conte e il suo staff di comunicazione per mettere a punto la linea ufficiale. Da qui uscirà una nota diffusa a sera, quasi in contemporanea con il Nazareno, ma dai toni non esattamente sovrapponibili. Nel messaggio di Schlein, l’ammissione che quella delle Marche non era una battaglia «facile», il ringraziamento a Ricci per il suo lavoro che sarà «strumento prezioso per impostare il lavoro di opposizione» e la promessa: «L’impegno unitario con la coalizione progressista al fianco dei nostri candidati continua con grande determinazione». Più freddo l’ex premier che riconosce che «la proposta di alternativa e cambiamento non ha convinto». Ringraziando, oltre all’ex sindaco, la comunità M5S che ha affrontato «con grande responsabilità un percorso che si è rivelato faticoso». Resta un dato, messo nero su bianco da YouTrend: finora solo in tre casi (Sardegna, Emilia Romagna e Umbria) delle tredici elezioni regionali corse insieme, Pd e M5S hanno riportato delle vittorie. Le Marche non saranno l’Ohio d’Italia ma il percorso per costruire l’alternativa di governo, secondo alcuni, passa anche da qui.

 Valentina Pigliautile

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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