Vedono il 2 a 0, dopo il primo goal segnato nelle Marche. I leader di centrodestra arrivano a Lamezia Terme sull’onda del risultato messo a segno il giorno prima, con Francesco Acquaroli confermato a Palazzo Raffaello. Sul centralissimo corso Numistrano sventola timida qualche bandiera palestinese, poco prima del comizio uno sparuto corteo pro-Pal colora qualche via. La città è blindatissima, forze dell’ordine spuntano ad ogni angolo, una via dietro l’altra. Giorgia Meloni parla per ultima, mentre la piazza grida il suo nome. Prima di lei Antonio Tajani celebra «il capitale umano del Sud, partito con la valigia con lo spago rendendo grande il Nord». Matteo Salvini gli fa eco, dichiarandosi molto più «pro-Calabria che pro-Pal», con 22 miliardi di opere all’attivo in Regione, «roba che in 50 anni la sinistra non ha mai visto». E parla di un «calcio in c… alla ‘ndrangheta».
I MESSAGGI
Tocca alla premier, che scherza di rimando con chi dal pubblico le rivolge parole di miele: «così non mi fate più salire sul volo di ritorno». Ricorda che Roberto Occhiuto ha giocato d’anticipo, chiedendo le elezioni un anno prima, le dimissioni per via di un’indagine per corruzione. «Una scelta che comprendo e condivido e che racconta qualcosa di come siamo fatti — rivendica — del nostro Dna: sono i cittadini a dover dire se si fidano di noi, che ci mettono in sella e sono gli unici che possono mandarci a casa». Meloni snocciola risultati e attacca a muso duro. «I cittadini sono più intelligenti di come li fa la sinistra — si toglie un sassolino dalla scarpa — guardano al lavoro, ai risultati. Non si fanno ammaliare dagli slogan facili e dal fumo gettato negli occhi, non si fanno trattare da stupidi come li tratta chi dice “vota per il Pd nelle Marche e avrai lo Stato in Palestina”. La gente non è stupida».
Smessi i panni della premier e indossati quelli della leader di partito, Meloni ne ha per tutti. Per la Cgil e l’Usb, che «scioperano per Gaza perché non hanno più modo di incrociare le braccia per l’assenza di lavoro», per «i figli di papà dei centri sociali che stanno creando problemi alla Sapienza», ironizza con un sorriso. Dunque picchia duro sulle opposizioni, salvo rivolgere loro l’appello affinché votino in Parlamento la mozione di maggioranza su Gaza. Per il resto, la presidente del Consiglio non fa sconti. Annuncia di aver avviato l’iter per «l’uscita della Calabria dalla gestione commissariale della sanità», e se Elly Schlein che fa campagna elettorale per la Calabria «girando ospedali fa ridere», «Giuseppe Conte è molto di più: è imbarazzante, offensivo». Punge sul reddito di cittadinanza: «Dicevano che se lo avessimo tolto ci sarebbe stata una rivolta sociale. Bè, non si è vista». E ora l’avversario di Occhiuto, il grillino Pasquale Tridico, «vuole introdurre il reddito di “reggionalanza”».
LA PAGHETTA AL SUD
Meloni soffia sull’orgoglio del Meridione. «Volevano comprarvi con la paghetta – dice –. Vi vedono come persone che non si vogliono mettere in gioco, noi vi vediamo come un popolo fiero che chiede rispetto e risposte». Per questo, rivendica raccogliendo l’applauso più grande, «abbiamo reso il Sud la locomotiva d’Italia». Promette che il suo governo realizzerà tutte le riforme messe nero su bianco nel programma, dal premierato al restyling della giustizia: «Non ci fermeranno». Men che meno «nella lotta all’immigrazione clandestina: ci metteranno i bastoni tra le ruote e noi li salteremo. Alla fine vedremo chi avrà la meglio». La premier vede la fine della legislatura a portata e non ne fa mistero. «Quando siamo arrivati al governo dicevano che saremmo caduti dopo 6 mesi- ricorda — e siamo il quarto governo su 68 per longevità. Quando arriveremo ad essere il terzo, tra qualche settimana, la sinistra scoprirà che i tre governi più lunghi sono di centrodestra. Ed è naturale perché solo noi possiamo dare stabilità, perché stiamo insieme non per sconfiggere gli altri che detestiamo» ma «perché abbiamo una visione comune». Dunque si sofferma sul “ponte della discordia”, l’opera da 13,5 miliardi che dovrà unire questa terra, la Calabria, alla vicina Sicilia. «Sono totalmente d’accordo con Salvini — dice — non ci sto al racconto di un’Italia che viene da una civiltà che duemila anni fa costruiva ponti che stanno ancora in piedi, e oggi non li può fare perché c’è la criminalità. Se c’è la criminalità combatti la criminalità, non è che non fai l’infrastruttura. Non è che ci vuole un genio…». Chiude con un abbraccio stretto ad Occhiuto e il selfie d’ordinanza sulle note dell’Inno di Mameli. «Non puntiamo a vincere, ma a stravincere», il leitmotiv che rimbalza.
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