26.09.2025
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Fashion

Alla Fondazione Magnani-Rocca, foto, video e anche figurine raccontano la pubblicità che seduceva


Lo scatto di spalle, con le curve generose, strette in un paio di micro-jeans. E l’iconico slogan: «Chi mi ama mi segua». Aveva tutto ciò che serviva per catturare lo sguardo, sollecitare la fantasia e stuzzicare la morale, la pubblicità Jesus, firmata da Oliviero Toscani. Era il 1973. Fu scandalo — anche Pasolini prese la penna per dire la sua — soprattutto, però, furono vendite da capogiro. E una grande lezione di comunicazione. È l’evoluzione delle campagne pubblicitarie e, di fatto, dell’immagine femminile, a essere indagata nella mostra Moda e Pubblicità in Italia 1950-2000, che fino al 14 dicembre, alla Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo, presso Parma, riunisce oltre trecento tra manifesti, riviste, foto, video, gadget come le figurine Fiorucci e altro. 

LA VISIONE

Obiettivo, raccontare il cambio di narrazione della moda che è diventato poi mutamento di visione della società, dettando nuovi codici estetici, in parte anche morali, liberando non di rado la fantasia dai limiti del perbenismo diffuso, per mettere – a volte letteralmente – a nudo una nuova idea di sensualità: ostentata, divertita, irriverente. Impossibile non vederla. Ancora più difficile, non pensarci. Nell’Italia delle molte famiglie borghesi, abituata agli sketch di Carosello e, più ancora forse, al “si fa ma non si dice”, l’irruzione di quella improvvisa sensualità era spiazzante. 
Manifesto su manifesto, sono molte le pubblicità che ci hanno fatto fermare a guardare, talvolta imbarazzarci, spesso commentare. E quegli scandali, nel tempo, si sono fatti cifra e misura del successo di un oggetto o di un brand. Le tv private poi, con il colore e nuove suggestioni pop, animarono quelle visioni, spolverando di “pepe” un immaginario fino ad allora in bianco e nero. Il percorso espositivo si fa spunto per un viaggio nella memoria della narrazione della moda, dunque anche della donna e del corpo. Si comincia dagli Anni Cinquanta. «Già nell’immediato dopoguerra, nel 1946 cominciano a prodursi i filmati sulla moda della Settimana Incom cinematografiche», afferma Eugenia Paulicelli, curatrice della mostra con Dario Cimorelli e Stefano Roffi. Il 1946 è l’anno dei primi servizi sul “due pezzi”.

Giovanni Gastel, 4 Colori Almeno!, cover  “Donna”, marzo 1982 

«Dunque molto prima del celebrato bikini esibito da Brigitte Bardot al Cannes film festival del 1953». In video l’Italia si mostra e reinventa moderna. «La moda gioca sempre sui paradossi e non riflette mai passivamente la realtà anzi la prefigura proprio attraverso processi immaginari, performance e dinamica corpo/vestito». Il Made in Italy va alla conquista del mondo con Armani, Dolce&Gabbana, Gianfranco Ferré, Moschino, Ferragamo, Valentino, Versace e molti altri. A firmare immagini e immaginario sono fotografi come Giampaolo Barbieri, Giovanni Gastel, Maria Vittoria Backhaus. E illustratori come René Gruau e Guido Crepax. 
«La moda — spiegano gli organizzatori — si conferma una macchina potente di comunicazione e si definisce sempre più come linguaggio e performance del corpo». Il desiderio diventa strumento e fine, codice ed emozione. La pubblicità strappa sospiri e così rimane nella memoria. E si fa codice identitario. Di stile. E sogno. 

Gian Paolo Barbieri, Simonetta Gianfelici in Valentino, Roma 1983


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