Una mano allungata a Volodymyr Zelensky, in uno dei giorni più bui dall’inizio della guerra. E fra le righe, un messaggio per il presidente americano Donald Trump: Putin non vuole trattare. Ottocento droni russi piovuti nella notte di domenica sulle case e i palazzi istituzionali ucraini convincono Giorgia Meloni a prendere posizione di prima mattina.
Durissima quella condensata in una breve nota ieri. «La Russia sembra più interessata ad aumentare la ferocia dei suoi attacchi contro l’Ucraina che a un percorso negoziale per la conclusione delle ostilità» tuona la presidente del Consiglio. Si dice dunque «vicina al popolo ucraino» e promette che «l’Italia, assieme ai partner occidentali, continuerà a fare la sua parte perché le ragioni di una pace giusta e duratura possano prevalere su quelle dell’aggressione indiscriminata». Del feroce bombardamento russo, tra i più violenti dall’inizio delle ostilità, Meloni viene avvisata quando è ancora notte. Soppesa con i suoi un intervento pubblico. Poi rompe gli indugi, come del resto buona parte dei leader europei: Macron, Starmer, von der Leyen. Il jingle è lo stesso. Putin dimostra con i fatti, e senza troppe remore, di non aver alcuna intenzione di sedersi e trattare con Europa e Stati Uniti. Ma soprattutto, è la riflessione che si fa a Palazzo Chigi, lo zar russo non intende riconoscere Zelensky e il suo governo come legittimi interlocutori. È vero il contrario. Stando così le cose, l’ipotesi di un summit di massimo livello e dello storico incontro fra i presidenti in guerra sembra sfumare di giorno in giorno. Eppure solo due settimane fa appariva concreta. La stessa premier italiana se ne era convinta sul volo di ritorno dal summit dei “Sette” leader europei con Trump alla Casa Bianca. Al punto di decidere, non senza qualche indugio, di annullare e rinviare a data da destinarsi il viaggio nell’Indo-Pacifico, programmato da mesi.
LA FINESTRA
Quella finestra socchiusa in una giornata solenne nella capitale americana — con la promessa di organizzare il faccia a faccia Putin-Zelensky entro i primi di settembre — rischia ora di chiudersi un’altra volta. Sigillata dai continui arroccamenti del Cremlino, dalle bombe e i missili spediti su obiettivi civili ucraini senza sosta. Raccontano una presidente del Consiglio inquietata dagli ultimi sviluppi sul fronte delle trattative ucraine. E irritata con alcuni partner europei che — come ha confessato ad alcuni suoi stretti a Palazzo Chigi — stanno «giocando con il fuoco». Vedi Macron, il presidente francese impegnato a tessere la rete dei “Volenterosi” e a organizzare una missione militare di pace in Ucraina che a Roma considerano — eufemismo — velleitaria.
Giovedì, collegata con i leader Ue e Trump, Meloni è stata molto schietta. Chiedendo in sostanza al presidente americano di non cadere nei bluff di Putin e di non dare credito alle sue «inaccettabili provocazioni». Come la proposta, ovviamente caduta nel vuoto, di ricevere Zelensky a Mosca, sulla Piazza Rossa. La pioggia di droni di due sere fa, vista da qui, conferma i timori del governo e dell’intelligence italiana: Putin non solo non vuole trattare, ma prova a prendere tempo per strappare concessioni territoriali agli ucraini prima che il gelo invernale costringa tutti a fermare i combattimenti nelle trincee. Ieri Trump ha dato un nuovo segnale di insofferenza verso “l’amico” Vladimir, dicendosi “pronto”a sanzionare Mosca. Assai più esplicito il suo segretario al Tesoro, Scott Bessent, che propone addirittura di «annientare l’economia russa» a suon di sanzioni insieme all’Europa. Segnali da prendere con le pinze, ragionano dal cerchio della premier, vista la volubilità del Tycoon. Sullo sfondo, il timore che sulle nuove sanzioni Ue in arrivo la maggioranza mostri qualche crepa in casa. Granitico il sostegno di Fratelli d’Italia e Forza Italia, molto meno quello leghista. Solo due giorni fa, incalzato dai cronisti, Roberto Vannacci rispondeva così: «Sì, mi farei governare più da Putin che da Zelensky. Il primo è amato dai suoi cittadini, l’altro non mi pare. È un comico giusto?».
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