Truppe di interposizione per presidiare la tregua in Ucraina. Europee e americane, nelle retrovie, ad Ovest. Ad Est, nei territori contesi e lungo il confine, un contingente internazionale sotto la bandiera dell’Onu. Al termine di una riunione-fiume in videoconferenza della “Coalizione dei volenterosi” riprende forma il piano in due fasi delle “forze di rassicurazione” lanciato da Emmanuel Macron e dal premier britannico Keir Starmer. Su cui si sono registrate nelle ultime ore aperture, sia pure ancora molto vaghe, da parte americana e russa.
Mentre l’Italia con Giorgia Meloni insiste sulle «garanzie di sicurezza» necessarie a scongiurare nuove aggressioni russe all’Ucraina. Di fatto, un trattato scritto — cofirmato dai leader europei della Nato e dal governo americano — che offra al Paese di Volodymyr Zelensky uno scudo contro future invasioni. Il tutto continuando a sostenere militarmente le forze armate ucraine — con l’invio di armi, munizioni e finanziamenti — per trasformare il Paese in un «porcospino d’acciaio» indigeribile per Putin (copyright von der Leyen).
IL PIANO AMERICANO
È un’agenda fittissima quella che stamattina i grandi d’Europa squaderneranno sulla Resolute Desk di Donald Trump alla Casa Bianca. Fianco a fianco al presidente ucraino, che incontrerà il Tycoon prima in un bilaterale e poi insieme agli alleati europei. Le conferme sono piovute un po’ alla volta, ieri mattina. Finché la squadra negoziale ha preso forma. Von der Leyen e il segretario della Nato Rutte, Meloni e Macron, Merz, Starmer, il finlandese Stubb hanno deciso di varcare l’uscio dello Studio Ovale insieme, per non abbandonare il leader ucraino a un incontro denso di incognite.
A due giorni dal summit fra Putin e Trump in Alaska che ha impresso un’accelerazione ai negoziati e al tempo stesso suscitato timori profondi nelle cancellerie europee. Decise a evitare che al capo della resistenza sia offerta oggi una resa di fatto dal presidente americano. Ma anche, contemporaneamente, a mantenere alta la pressione sul rivale russo con lo strumento delle sanzioni: il diciannovesimo pacchetto di misure Ue contro i diplomatici e i colossi energetici russi è in via di definizione e ieri la stessa Meloni ha ricordato l’importanza di «mantenere la pressione collettiva» sul Cremlino.
Ma torniamo a Washington. Il timore di un bis del disastroso incontro di fine febbraio, quando tra Zelensky, Vance e Trump finì a insulti, è concreto e per questo l’Europa si presenta in blocco. Ieri, collegata da casa prima di salire sul volo che l’ha portata a Washington in serata, Meloni è intervenuta alla videocall dei Volenterosi ricordando le linee rosse italiane nella trattativa.
L’Ucraina, spiega, «dovrà essere coinvolta in ogni decisione relativa al suo futuro». E qualunque accordo di pace non potrà non assicurare «la sovranità e la sicurezza» del Paese aggredito. Con «solide e credibili garanzie». Definirle concretamente, evitando che restino lettera morta, è la grande sfida che attende oggi l’Europa e Zelensky a Washington, ha fatto capire ieri anche Macron che ha presieduto la riunione con gli alleati dal forte di Brégançon.
I PALETTI ITALIANI
Già, ma quali garanzie? L’Italia insiste su un modello che ricalchi la difesa collettiva prevista dall’articolo 5 della Nato, senza però aprire all’Ucraina le porte dell’Alleanza. E su questa proposta, che Meloni porta ai tavoli internazionali da mesi, si va allineando un fronte trasversale: ci ha messo il cappello lo stesso Trump e pare che perfino Putin in Alaska — così ha riferito ieri l’inviato speciale Usa Witkoff — abbia aperto all’idea. Macron si mostra cauto sul tema. «Penso che un articolo teorico non sia sufficiente — fa sapere il presidente francese — La prima delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina è un esercito ucraino forte».
Armi, equipaggiamento militare, addestramento, un meccanismo cadenzato di finanziamenti europei e americani. È il «porcospino d’acciaio» evocato dalla presidente della Commissione con Zelensky a Bruxelles. Insomma l’Europa non si fida di Putin e chiederà oggi a Trump di prendere le dovute precauzioni. «Putin non vuole la pace, ma la capitolazione dell’Ucraina» rincarava ieri il titolare dell’Eliseo innescando una durissima risposta del governo russo per via della “zarina” Zakharova: «Deprecabili bugie, per sette anni abbiamo proposto un accordo pacifico per la soluzione ucraina».
Il clima è questo. Ed è fittissima la nebbia intorno alla Casa Bianca nel giorno della verità. Dice ancora Macron: «Chiederemo agli Stati Uniti d’America fino a che punto e in che misura sono pronti a unirsi, dal momento che abbiamo messo sul tavolo garanzie di sicurezza». E insieme a Meloni e ai leader dei Volenterosi fa sapere che l’Europa dovrà avere un posto al tavolo delle trattative durante il prossimo round negoziale: un trilaterale Trump-Putin-Zelensky esteso ai leader continentali. Durante la call pomeridiana, prima di trasvolare l’Atlantico, la premier italiana ha lanciato un nuovo appello a «restare uniti» fra alleati. Chissà che Trump non sia disposto a coglierlo questo pomeriggio fra gli stucchi dorati dello Studio Ovale.
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