Il cerchio si stringe. Europa e Stati Uniti accelerano sui negoziati per la pace in Ucraina. C’è una finestra temporale per una “conferenza” di pace e la stretta di mano fra Putin e Zelensky che può archiviare tre anni di massacri nelle trincee: inizio settembre. E due sono le sedi attenzionate per ospitare un summit potenzialmente storico. Gli europei, di ritorno dal blitz alla Casa Bianca, guardano a Ginevra, nella neutrale Svizzera. L’amministrazione Trump invece, rivela Politico, lavora sull’ipotesi Budapest: sarebbero già partiti i sopralluoghi del Secret service per sondare la capitale ungherese come palcoscenico per il trilaterale, a casa del filorusso Viktor Orban.
LE MOSSE DELLA PREMIER
Tornata da Washington Giorgia Meloni si prepara a settimane sull’ottovolante. C’è uno spiraglio e mancarlo sarebbe un errore, spiega ai suoi la premier italiana che potrebbe rinviare a data da destinarsi il viaggio nell’Indo-Pacifico, previsto a fine agosto. «È andata bene» sospira la presidente del Consiglio tracciando un bilancio della trasferta alla Casa Bianca fianco a fianco a Zelensky e ai sei leader Ue. Trump ha smentito i più neri pronostici accogliendo con tutti gli onori il leader con la mimetica di Kiev. Ma soprattutto ha aperto a una partecipazione americana alle “garanzie di sicurezza” necessarie per blindare la pace. Un’idea, sottolineano da Palazzo Chigi, caldeggiata da mesi dal governo italiano. Ora però viene il difficile. Rientrata a Roma Meloni si collega alla videocall dei “Volenterosi”, poi è il turno del Consiglio europeo virtuale.
Il vertice in Alaska fra Trump e Putin ha fatto da “starter” per i cento metri finali. La strada per il traguardo però è lastricata di ostacoli. Meloni, nei prossimi giorni attesa in Valle d’Itria, in Puglia, per un ultimo scorcio di ferie “operative”, visti i tempi che corrono, insiste sulle garanzie per Zelensky.
Lunedì insieme ai leader europei ha fatto notare a Trump, nel chiuso dello Studio Ovale, che organizzare il vertice per la pace prima di chiarire a quali condizioni potrà essere garantita è un azzardo troppo grande. E il presidente americano pare abbia accolto il suggerimento. Voleva un summit lampo, questo venerdì, per la photo-opportunity utile a strappare, così spera lui, il Nobel.
Invece è tutto rinviato di dieci giorni, forse due settimane: il tempo di definire il patto di sicurezza. Senza un articolo scritto, e il via libera del Cremlino, la pace avrà le gambe d’argilla, ragiona Meloni con i suoi consiglieri. «Non sarebbe una novità per la Russia disattendere gli accordi a scapito dell’integrità territoriale dell’Ucraina» mette in guardia un dossier riservato di Fratelli d’Italia, supervisionato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari (presente a Washington con Meloni). Serve insomma , il discorso ribadito da Meloni nell’Oval Office, una «sequenza per la pace».
«Solo la definizione delle garanzie consentirà di passare a una fase successiva del processo di pace» spiega ancora la premier con la sua squadra. Convinta che a Washington intanto sia «emerso un grande segnale di unità favorito dal coordinamento europeo». «Ha riunito alla Casa Bianca l’Occidente» è la lettura consegnata a Formiche dal consigliere per la cultura della premier, Renato Cristin. Diverso ovviamente il bilancio delle opposizioni: «Sul vertice di ieri tra Trump e Putin i toni trionfalistici del governo sono fuori posto. L’Ucraina non c’era. L’Ue non c’era» tuona la segretaria del Pd Elly Schlein.
I NODI DA SCIOGLIERE
Certo restano tanti nodi da sciogliere. Fra questi, la logistica del “supervertice” con Putin e Zelensky. L’Europa vorrà partecipare e non è escluso che il formato sia lo stesso della spedizione dei “sette” alla Casa Bianca. Già, ma dove vedersi? L’ipotesi Roma — «che è stata lanciata da Trump» fanno notare in queste ore da Palazzo Chigi — sembra ormai sfumata. I russi, anche tramite canali riservati, hanno fatto sapere che non intendono volare nella capitale. E il principale ostacolo è proprio il mandato di cattura per Putin della Corte penale internazionale a cui l’Italia, da parte contraente, dovrebbe conformarsi. Il governo, si diceva, ha lanciato ufficialmente l’ipotesi Ginevra. Tramite il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ieri in visita a Berna metteva a verbale: «Siamo favorevoli, può essere la sede giusta perché è un Paese che ha sempre lavorato per la costruzione della pace». «Prontissimi a ospitare il summit» gioca di sponda il presidente svizzero Cassis. Ma da Washington si fa strada un piano B. Come Budapest: l’Ungheria di Orban, il più filorusso degli europei, potrebbe non dispiacere allo zar. Preparativi in corso. La coreografia avrà la sua parte. Purché a coreografia non si riduca anche l’accordo di pace.
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