BRUXELLES Una pronuncia a tempo. Già, perché tra poco più di dieci mesi (e forse con qualche anticipo) verrà meno una parte del fondamento giuridico su cui si è fondata la Corte di Giustizia dell’Ue. Lo ricordano gli stessi giudici: i paletti ribaditi ieri varranno fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento sulle procedure di asilo destinato a sostituire una vecchia direttiva del 2013, su cui si è fondata ieri la Corte. Parte del Patto sulla migrazione e l’asilo è stata già approvata da Consiglio e Parlamento un anno fa, ma sarà pienamente applicabile solo a partire dal 12 giugno 2026. Oppure prima, spiega una nota della magistratura Ue, ma in tal caso solo se — visto il pressing generale in nome di una linea dura — la Commissione farà una proposta e poi governi ed eurodeputati la approveranno in tempi record. Con la riforma, cambierà in particolare la nozione giuridica di Paese di origine sicuro, definizione che si riserva a quegli ordinamenti democratici in cui sia garantito il rispetto delle libertà e dei diritti civili. Tale concetto ha un particolare rilievo pratico, come dimostrano i ricorsi di due cittadini del Bangladesh che hanno innescato questa saga giudiziaria: se si è cittadini di un Paese sicuro, la domanda di asilo è esaminata sulla base di una procedura accelerata di frontiera ed è probabile che venga respinta. Oggi, secondo il diritto vigente, si può designare come tale uno Stato non-Ue solo nella sua interezza.
LE NUOVE NORME
La novità, invece, è nell’articolo 61 del nuovo regolamento: «La designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro, sia a livello dell’Unione sia a livello nazionale, può essere effettuata con eccezioni riguardanti specifiche parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili». La riforma prossima all’entrata in vigore è ancora più esplicita. Se, da una parte, consente agli Stati di designare un Paese di origine sicuro prevedendo delle eccezioni, dall’altro stabilisce tuttavia che «la mera inclusione nella lista non può costituire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale Paese e non esonera, pertanto, dalla necessità di procedere a un esame individuale appropriato». La valutazione, insomma, continuerà ad essere fatta caso per caso e a fondarsi nel merito. Ad aprile, la Commissione aveva proposto, con un emendamento mirato che deve essere ancora approvato da Commissione e Parlamento, la creazione della prima lista Ue dei Paesi di origine sicuri, includendone sette: Egitto e Bangladesh (al centro dei ricorsi relativi il protocollo Italia-Albania), ma anche India, Tunisia, Marocco, Colombia e Kosovo; e pure tutti quelli candidati all’adesione all’Ue (tranne l’Ucraina invasa dalla Russia). Tale elenco, aveva detto allora Bruxelles, non si sostituisce alle liste nazionali ma «sosterrà una più uniforme applicazione del concetto». In quell’occasione, l’esecutivo Ue ha anche stabilito che la procedura accelerata di frontiera si potrà applicare a chi proviene da Paesi che vedono un tasso di accettazione delle domande d’asilo inferiore al 20%. Gabriele Rosana
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