29.07.2025
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Economy

«Stiamo andando bene». La Bce tiene fermi i tassi


La Commissione europea vede l’accordo con gli Stati Uniti «a portata di mano». Ma a tenere a bada gli entusiasmi, confessano a Bruxelles, c’è un amaro precedente: anche a inizio mese il traguardo sembrava raggiungibile, salvo essere commenti bruscamente alla casella di partenza dalla minaccia di un dazio generalizzato del 30% dal 1° agosto in caso di “no deal”.

Visti da Washington, gli ultimi sviluppi della trattativa mandano un messaggio inequivocabile: «L’Ue vuole davvero, davvero, davvero arrivare a un’intesa», ha detto il segretario Usa al Commercio Howard Lutnick alla Cnbc. Lutnick, che ha evocato modifiche alla normativa digitale dell’Unione europea come parte dei negoziati, non ha confermato le indiscrezioni degli ultimi giorni che vedrebbero l’aliquota del 15% per l’export Ue, con alcune pesanti eccezioni, come punto di caduta. Ma ha elogiato a più riprese l’accordo con il Giappone come un modello «fantastico» da seguire: «Non solo pagano il 15%, ma ci hanno dato anche 550 miliardi di dollari da investire in America per costruire ciò che vuole il presidente Donald Trump: energia, farmaci generici, cantieristica navale».

I PUNTI

Tra i punti ancora in ballo, nei contatti tra Usa e Ue, ci sono le tariffe settoriali che sono già in vigore: in particolare quelle record, del 50%, sull’importazione di acciaio e alluminio. La siderurgia sarebbe, per ora, la grande esclusa dall’aliquota al 15%: Bruxelles vorrebbe ottenere degli sconti, assoggettando al prelievo del 50% solo i volumi superiori a una certa soglia. «Il nostro obiettivo principale — ha spiegato da Pechino la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen — è raggiungere una soluzione negoziata». «Sono in corso contatti tecnici e politici molto intensi — ha aggiunto — ma siamo molto chiari che tutti gli strumenti sono sul tavolo e rimarranno sul tavolo finché non avremo un risultato soddisfacente». Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini vede «danni enormi per le nostre» in arrivo dal mix fra dazi al 15% («sempre meglio del 30%») e dal cambio euro-dollaro che, con la moneta unica più forte e il dollaro svalutato di oltre il 13% da gennaio, penalizza l’export. Chi, invece, ha spinto dietro le quinte per avvicinare sempre di più le due sponde dell’Atlantico, è il patron del colosso del lusso francese Lvmh Bernard Arnault.

Anche se i termini dell’intesa «possono sembrare apparentemente squilibrati, sarebbero comunque preferibili al braccio di ferro», ha detto in un’intervista a Le Figaro.

Seppur fiduciosa in un’intesa che, secondo le stime di Bruxelles, fotograferebbe lo status quo (il 10% universale che si applica da aprile più il circa 5% che era già in vigore prima dell’insediamento di Trump), l’Unione si prepara al peggio. Ieri i governi dei 27 hanno dato l’ok — con il voto contrario della sola Ungheria — al pacchetto di controdazi fino al 30% su 93 miliardi di euro che entrerebbe però in vigore solo il 7 agosto, in caso di mancato accordo. Alla finestra rimane, intanto, la Banca centrale europea. L’Eurotower di Francoforte, dopo otto tagli consecutivi di 0,25% al costo del denaro, nella riunione di politica monetaria di ieri ha deciso di tenere i tassi d’interesse fermi.

LA PRESSIONE

La ragione? Aspettare di vedere cosa accadrà sul fronte commerciale, un po’ come ha fatto finora la Federal Reserve, nel timore di una nuova fiammata dell’inflazione Usa.

Il consiglio direttivo ha lasciato, all’unanimità, il tasso sui depositi al 2%: una scelta attesa dopo che, a giugno, la presidente Christine Lagarde aveva dichiarato «quasi concluso» il ciclo di riduzioni. Le prossime mosse saranno fatte «alla luce dei dati», ma secondo gli osservatori è poco probabile che la Bce torni a ridurre i tassi già a settembre. E a proposito di banche centrali, a una settimana dalla decisione della Fed, che ha finora temporeggiato sui tagli, ieri Trump si è recato in visita alla sede per vedere da sé l’avanzamento dei lavori di ristrutturazione.

Il gesto — insolito per un presidente — rilancia il pressante politico per sostituire l’attendista Jerome Powell alla guida dell’istituto.


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