L’analisi, va detto, è perfettamente razionale. E sui numeri c’è poco da dubitare. Soprattutto se a metterli in fila è l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo. Ma va anche detto che a sentire le parole pronunciate da Andrea Bassanini, senior economist dell’Organizzazione parigina, pronunciate ieri nella Commissione parlamentare sulla transizione demografica, non può non venire in mente la battuta de principe della risata Antonio De Curtis, in arte Totò: «L’operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto». Ma andiamo con ordine.
Nell’audizione di ieri Bassanini ha presentato i numeri, drammatici, dell’inverno demografico italiano che aveva già anticipato il giorno prima al Cnel. Da qui al 2060, a causa del crollo delle nascite, verranno a mancare nel Paese 12 milioni di lavoratori. Per mantenere il numero attuale di persone occupate, ha spiegato Bassanini illustrando una serie di slides e tabelle, bisognerebbe che a lavorare fosse il 100 per cento della popolazione in grado di farlo.
Difficile, se non impossibile. Comunque sia, di questo passo, nel 2060 il rapporto tra occupati e popolazione totale sarà del 45 per cento. Significa che ogni persona in grado di produrre reddito dovrà farlo non solo per se, ma anche in media per un’altra persona “inattiva”. Tutto ciò si porterà dietro un’altra conseguenza: il calo del Pil pro-capite. Se il Pil indica la ricchezza complessiva prodotta da una nazione, quello pro-capite indica quanta di questa ricchezza è prodotta da ogni individuo. Tenere alto il Pil pro-capite insomma, è fondamentale per tenere in piedi tutto il sistema, dal welfare alle pensioni. A questo punto si potrebbe pensare che, per avere più lavoratori e un pil pro-capite più alto, bisognerebbe incentivare le nascite. In realtà, ha spiegato Bassanini, «ci sono ottime ragioni per voler aumentare la fertilità e la natalità, ma la crescita del Pil pro-capite non è tra queste». Proviamo a capire meglio. Innanzitutto, ha spiegato Bassanini, guardando all’esperienza degli altri Paesi, «le politiche per la natalità riescono ad agire marginalmente sul tasso di fertilità».
IL PASSAGGIO
Inoltre, aggiunge l’economista, «se gli incentivi alla fertilità e alla natalità sono slegati dagli incentivi alla partecipazione al mercato del lavoro, invece di aumentare il fattore lavoro, rischierebbero nel breve termine un effetto negativo». Traduciamo: per tenere il sistema in piedi c’è bisogno che le donne lavorino, che il tasso di partecipazione femminile aumenti. Se fanno figli, rischiano di essere manodopera in meno.Seconda questione, secondo Bassanini ancora «più importante». «I bambini nati oggi per i prossimi 25 anni non saranno sul mercato del lavoro, ma saranno “dipendenti”. Aumenteranno», spiega l’economista, «la popolazione e il tasso di dipendenza totale senza aumentare la quantità di lavoro». Un po’ brutale, ma chiaro. Ma veniamo ai numeri. L’Ocse ha prodotto una simulazione per dimostrare quanto tutti questi assunti siano veri. Se per miracolo da domani il tasso di fertilità degli italiani passasse dall’attuale 1,18 figli per donna a 2,1 figli per donna (vale a dire il minimo sindacale per non far calare la popolazione totale), nei prossimi 20 anni il Pil pro-capite calerebbe di un ulteriore 7 per cento rispetto al 22 per cento già previsto dallo scenario “base” (se cioè nulla cambia).
Ma se per far quadrare i conti la soluzione alla denatalità non è fare i figli, allora qual è? Lavorare tutti, lavorare più a lungo. E anche aumentare la quota di immigrati. La ricetta, insomma, è di coinvolgere chi oggi è fuori dal mercato del lavoro per scelta (per esempio i Neet) o per necessità (in diversi casi le donne su cui gravano i carichi familiari). Ma anche fare in modo che il tasso di partecipazione al mercato del lavoro non crolli dopo i 60 anni. Su quest’ultimo aspetto si tratta anche, ha spiegato Bassanini, non solo e non tanto di alzare l’età pensionabile, ma di adattare le condizioni di lavoro nelle aziende ai lavoratori “più anziani”.
Il governo italiano, almeno a sentire le parole pronunciate qualche settimana fa da l ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha idee diverse. Vorrebbe provare ad aumentare le culle e, contemporaneamente, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Come? Per esempio rivedendo le detrazioni per i figli, in modo da rendere il lavoro delle “mamme lavoratrici” più remunerativo. Si vedrà se nelle solite ristrettezze della manovra di Bilancio, su questo di riuscirà a fare qualcosa (anche lo scorso anno Giorgetti aveva promesso misure simili). Una spinta alla natalità, insomma, va data. Anche se gli effetti economici positivi si vedranno dopo un cinquantennio , resta una necessità (anche l’Ocse lo riconosce). Anche perché un Paese senza figli è un Paese senza futuro. Anche se ha i conti in ordine.
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