27.07.2025
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Politics

il governo prova a salvare il made in Italy a rischio dazi


Pasta, vino, olio. Ma anche formaggi e salumi. Vale a dire il pantheon del made in Italy nel mondo. Mentre va avanti serrato il negoziato tra Washington e Bruxelles per chiudere al più presto la partita dei dazi, l’Italia lavora pancia a terra sulle “eccezioni” da portare a casa. In gergo diplomatico così vengono definiti i prodotti da salvare dalla mannaia che Trump si appresta a calare sull’Europa. Il 15% a Palazzo Chigi viene considerato il “numero X” su cui si chiuderà l’accordo. E benché ieri il tycoon abbia quotato al 50% la possibilità di un’intesa, balzelli del 15% a Roma vengono considerati il risultato che Palazzo Berlaymont ha già nel sacco. Lontano da quel “zero per zero” auspicato da von der Leyen e dai leader europei all’indomani del Liberation day, ma altrettanto distante dallo spauracchio del 30% agitato da The Donald nella sua lettera all’Europa.

Si tratta, spiegano fonti diplomatiche di stanza a Bruxelles, non più sul 15% — il punto di caduta già negoziato tra le parti, salvo sorprese — bensì sulla lista dei prodotti da graziare. Mentre vanno avanti gli sforzi dei 27 per allungare l’elenco il più possibile. A Roma è il comparto del “food and beverage” a togliere il sonno al governo Meloni, un commercio solido e rodato, trainato soprattutto dal mito italiano del cibo e del bere di alta qualità. Pasta, vino e olio d’oliva vanno a ruba sugli scaffali americani, così come formaggi e salumi. A preoccupare maggiormente è l’export di vino, con gli Usa tra i principali mercati di sbocco. Eppure la possibilità di salvare spumanti, rossi, bianchi e rosé dai rincari alle dogane è ridotta al lumicino (a differenza dei formaggi).

Nella lista delle eccezioni per ora sotto la voce “beverage” figurano solo i superalcolici, con vini e bollicine fuori dall’elenco. Benché a battagliare al fianco di Roma sia anche Parigi, che negli States esporta vin e champagne in grosse quantità. E se sui prodotti di alto profilo — leggi Brunello di Montalcino o Amarone — la convinzione è che i rincari verranno assorbiti lungo la filiera, a preoccupare sono soprattutto i prodotti a prezzi più abbordabili, su cui 3-4 dollari in più possono far la differenza. È lo stesso discorso valido per il re dei formaggi, il parmigiano reggiano: esportato a 15 dollari al kg, viene venduto al dettaglio negli States a 47/48 bigliettoni. Il rincaro è tale che a Roma si è convinti che un dazio del 15% verrebbe riassorbito prima di arrivare a gravare sul consumatore finale. Un ragionamento che non regge su pecorino, mozzarella, provola e altri formaggi esportati negli Usa. E che traballa per il prosciutto San Daniele, il salame cacciatore e la mortadella di Bologna, di cui gli americani van ghiotti. Roma lavora in queste ore per salvare il salvabile sulla doppia rotta Bruxelles-Washington. Facendo leva anche sul «rapporto privilegiato» che la premier vanta con Trump. 

Diversa la partita dell’acciaio. Ieri lo stesso ministro Urso ha riconosciuto che il balzello, attualmente al 50%, sull’Italia «pesa poco». Il perché è presto detto. Sull’acciaio è come se Roma avesse già dato, pagando dazio nel 2018, quando la prima amministrazione Trump sfoderò per la prima volta l’arma dei rincari alle dogane. All’epoca il food and beverage resse il colpo, non l’acciaio che l’Italia portava sino in America.

LE CIFRE

I numeri parlano chiaro e restituiscono un quadro drammatico: nel 2018 l’acciaio esportato negli Usa passò da 708 mila tonnellate ad appena 420 mila nell’arco di un anno, di fatto segnando un dimezzamento dell’export. Nel 2024 ammontava ad appena 287 mila tonnellate. La lega che il nostro Paese attualmente esporta in America è di altissima qualità, più resistente e resiliente alle intemperie. Un materiale che gli States, ad oggi, non sono in grado di produrre e che dovranno continuare ad acquistare da noi, piaccia o no all’American first del popolo Maga. La qualità è la stessa variabile che muove il mondo della moda, altro settore sensibilissimo alla partita dei dazi che l’Italia si trova a disputare. Convinzione del governo è che i prodotti di lusso dovrebbero reggere il colpo, perché parte dei dazi verranno assorbiti lungo la filiera. E perché chi è abituato a spendere cifre esorbitanti per un abito o un paltò continuerà a farlo. O almeno così si spera a Palazzo Chigi.


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