14.07.2025
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Politics

«Dazi Ue in arrivo». Il nodo delle Big Tech Usa


NEW YORK-BRUXELLES Nei giorni più intensi delle contrattazioni e senza molti dettagli sui dazi che dovrebbero essere reintrodotti il primo agosto, Donald Trump prova a difendersi dalle voci che anche questa volta abbia intenzione di usare la carta «Taco», Trump Always Chickens Out, ovvero la tendenza del presidente americano di fare un passo indietro all’ultimo dopo aver attaccato gli avversari. E allora ieri, dopo che diversi analisti e trader hanno ripetuto di essere tranquilli perché tanto Trump avrebbe cambiato idea, ha annunciato sul suo social Truth che «le tariffe inizieranno a essere pagate dal primo agosto 2025». «Non ci sono state modifiche a questa data, e non ci saranno cambiamenti. In altre parole, tutti i soldi dovranno essere pagati a partire dal primo di agosto. Non ci saranno estensioni», ha scritto cercando di fare chiarezza, visto che la sera prima aveva aperto alla possibilità di ulteriori proroghe per i Paesi interessati a dialogare con gli Stati Uniti. Sempre ieri il presidente ha assicurato che arriveranno altre lettere nei prossimi giorni ad altri Paesi, in tutto 14-15, e ancora che tra queste lettere ci dovrebbe essere anche quella all’Europa. Il presidente ha poi spiegato che prevede di imporre dazi del 50% sulle importazioni di rame e ha minacciato imposte fino al 200% sul settore farmaceutico per le aziende non disposte a produrre negli Stati Uniti. Ancora una volta, il colpo a sorpresa ha lasciato più preoccupazioni che chiarezza sui mercati, e per questo nel pomeriggio il segretario al Commercio Howard Lutnick ha provato a rettificare: «Sul rame i dazi dovrebbero arrivare a fine luglio, inizi agosto. Mentre sul settore farmaceutico e su quello dei semiconduttori sono finiti gli studi e nei prossimi mesi decideremo cosa fare», ha detto Lutnick, ricordando che l’amministrazione intende lasciare un periodo di transizione per le aziende che decideranno di riportare la produzione negli States, forse di un anno e mezzo. C’è poi tutta la questione europea. E su questo Lutnick è stato chiaro: «l’Europa è il nostro principale partner ma abbiamo un deficit commerciale di 235 miliardi di dollari. Trump vuole che l’Unione apra il mercato ai produttori e agli imprenditori americani». Intanto si guarda avanti e al prossimo incontro con la Cina, Paese con il quale gli Usa hanno raggiunto un’intesa preliminare, ma ci sono ancora molti dettagli da definire. Ad agosto Lutnick potrebbe incontrare una delegazione cinese insieme al segretario al Tesoro Scott Bessent. Sul tavolo ci sono molti elementi e di sicuro si parlerà di una decisione appena presa da Trump che vieta ai cittadini cinesi di comprare terreni negli Stati Uniti. Allo stesso tempo ci sono i Brics, di cui la Cina è uno dei principali esponenti: il presidente americano ha minacciato dazi aggiuntivi del 10% per difendere il dollaro. Da settimane la moneta americana sta perdendo potere nei confronti dell’euro e della sterlina, con ribassi che non si vedevano dagli anni ‘60. «I Brics sono stati inventati per far perdere valore al nostro dollaro. Ma il dollaro resta il re», ha detto Trump.

Intanto Ue e Usa continuano a trattare anche oltre la scadenza inizialmente prevista per oggi, ma adesso il rischio concreto è che l’offensiva di Trump divida i governi europei. Aspettando la lettera che preciserà l’aliquota dei dazi. Il presidente americano ieri ha speso per la prima volta parole dolci per un’Europa «che ci sta trattando molto bene», pur dichiarandosi insoddisfatto dalle politiche europee sulle Big Tech Usa. «Il nostro obiettivo principale resta evitare un’ulteriore escalation delle tensioni commerciali», lo aveva preceduto il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis, a margine della riunione dell’Ecofin. «Finora abbiamo lavorato con il 10 luglio come riferimento», ma con Trump che ha fissato un nuovo ultimatum al 1° agosto, anche i negoziatori europei si sintonizzano sul calendario aggiornato: «Questo ci concede un po’ più di tempo», ha ammesso Dombrovskis. «Stiamo continuando a lavorare» a livello tecnico e politico: «Prima riusciamo a raggiungere un accordo e meglio è poiché ciò eliminerebbe l’incertezza che circonda» gli scambi transatlantici. Per accettare il dazio quasi generalizzato al 10% voluto da Trump, l’Ue sta chiedendo una serie di concessioni, tra cui esenzioni per alcolici, dispositivi medici e aerei civili, ma anche un’aliquota ridotta per un certo volume di automobili (oggi colpite indistintamente al 25%) e di acciaio (tassato al 50%). Sono «aspetti ulteriori che devono ancora essere messi a punto», ha affermato il ministro dell’Economia spagnolo Carlos Cuerpo. Meglio l’asimmetria dell’imprevedibilità, ragionano a Bruxelles nel tentativo di convincere i governi più recalcitranti. Come quello svedese. «”Offerta” non è la parola che userei per descrivere questo testo», ha tagliato corto la ministra delle Finanze Elisabeth Svantesson: Stoccolma è a favore della linea dura contro un «cattivo accordo», perché «non possiamo stare col cappello in mano e ringraziare per il 10%». Oggi gli ambasciatori dei 27 torneranno a riunirsi nell’abituale Coreper del mercoledì per un punto sulla situazione, destinato anche a sondare gli umori tra le capitali. E l’appetito per una reazione a caldo che riequilibri i rapporti. «L’accordo deve essere equo», ha insistito il vicecancelliere tedesco Lars Klingbeil, altrimenti l’Ue dovrà «prendere delle contromisure per proteggere la nostra economia». Un primo pacchetto di controdazi su un volume d’affari da 21 miliardi di euro è stato congelato per via della tregua, mentre un secondo (da 95 miliardi) è già predisposto e può essere adottato rapidamente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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