Ultimo sprint nei negoziati tra Unione europea e Stati Uniti per chiudere un accordo prima del 9 luglio, giorno in cui scade la parziale tregua sui dazi. Manca poco più di una settimana e «dobbiamo fare il possibile per arrivare a un’intesa prima di quella data», ha affermato il commissario al Commercio Maros Sefcovic. Lo slovacco partirà oggi alla volta di Washington, dove si unirà alla squadra di tecnici dell’esecutivo Ue già giunti nella capitale Usa. Tra domani e giovedì, il capo-negoziatore per l’Unione tornerà a incontrare i due omologhi a stelle e strisce, Howard Lutnick e Jamieson Greer, a un mese dal faccia a faccia di Parigi. Ieri Greer ha incontrato il ministro italiano Francesco Lollobrigida. Dalla Commissione ostentano fiducia: «Ci sono sviluppi positivi e costruttivi, si avanza nella giusta direzione». «Ci sarà una raffica di accordi nell’ultima settimana», ha assicurato il segretario Usa al Tesoro Scott Bessent. «Vogliamo ottenere il massimo possibile, qualcosa che sia equo per entrambe le parti», ha puntualizzato Sefcovic. Non è escluso che della delegazione faccia parte, come avvenuto nelle fasi più delicate della trattativa, anche il capo di gabinetto di Ursula von der Leyen, Bjoern Seibert. Visto che il 4 luglio negli Usa si celebra la Festa dell’Indipendenza, la due giorni rappresenta uno dei momenti più decisivi per scongiurare l’entrata in vigore delle nuove sovrattasse doganali: in caso di “no deal”, il dazio base sulle importazioni dall’Ue rischia di essere del 20% se non persino del 50%, stando alle più recenti minacce trumpiane. Visti i tempi stretti, l’eventuale intesa tra i due partner transatlantici sarebbe inizialmente di principio, anche se Sefcovic ieri ha insistito sulla necessità di «passare dagli scambi di vedute alla stesura di un testo». Su cosa potrà contenere l’accordo, però, le bocche rimangono cucite. Bruxelles è disposta ad accettare un dazio universale del 10%, e chiede agli Usa di ridurre le aliquote su settori chiave come i farmaci o i semiconduttori. L’amministrazione repubblicana guarda con attenzione alle cosiddette barriere non tariffarie, cioè l’insieme di regole Ue che, accusa, gravano (anche) sulle aziende Usa. Dopo le bordate trumpiane, il Canada ha ritirato il provvedimento sui servizi digitali, che prevedeva una tassa al 3% sui ricavi: le trattative commerciali con Ottawa ricominceranno con l’obiettivo di raggiungere una quadra entro il 21 luglio. E la Casa Bianca, ha detto alla Cnbc il consigliere economico Kevin Hassett, potrebbe chiedere anche ad altri partner di eliminare le loro regole e tasse su Big Tech come «elemento chiave dei negoziati commerciali in corso». Ma sul punto da Bruxelles fanno muro. Un portavoce della Commissione taglia corto: «Non discutiamo con Paesi non-Ue come attuare la nostra legislazione; non fa parte dei temi del negoziato». Parlando di AI Act, la vicepresidente esecutiva con delega al digitale, Henna Virkkunen, ha escluso ad esempio che il codice di condotta sui modelli di intelligenza artificiale per finalità generali (come ChatGpt) rientri nelle trattative.
PECHINO
Impegnata su più tavoli, l’Europa rischia di trovarsi stretta tra l’incudine e il martello: la Cina ha avvertito che adotterà «ferme contromisure per proteggere i suoi diritti e interessi legittimi» nel caso in cui gli accordi con gli Stati Uniti siano conclusi a spese di Pechino. Alla vigilia della visita del ministro degli Esteri della Repubblica popolare Wang Yi a Bruxelles, la Cina ha prorogato per altri cinque anni i dazi del 43% su billette e lamiere laminate a caldo in acciaio inossidabile, applicati per la prima volta nel 2019: una loro eventuale revoca avrebbe causato «danni» all’industria nazionale, fanno sapere da Pechino.
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