«Massimo Severo Giannini, uno dei più illustri costituzionalisti della storia d’Italia, diceva che la prima parte della Costituzione è presbite, la seconda è miope. Significa che la prima guarda lontano, la seconda invece va aggiornata nel tempo, in base alle esigenze e alle trasformazioni della società». E a farlo, secondo Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, dev’essere una nuova assemblea costituente. Sul modello di quella che scrisse la Carta nel 1946. Una proposta che la Fondazione formalizzerà con un ddl che verrà presentato lunedì mattina, insieme al leader di Azione Carlo Calenda.
Perché un’assemblea costituente?
«La proposta nasce da una semplice considerazione: non è più possibile continuare a sbrindellare la Costituzione un pezzo alla volta senza mettere mano a una sua riforma organica. Sa quante riforme della Carta si sono fatte dal 1948 a oggi?».
No, quante?
«Diciassette. E ogni giorno qualcuno si alza e ne propone una nuova. Il premierato, il monocameralismo, la modifica del quorum per i referendum. La conseguenza è che si procede con revisioni parziali. E poi vengono fuori oscenità come il taglio dei parlamentari. Da qui nasce la nostra proposta, scritta con fior di costituzionalisti, per arrivare in tempi rapidi a una riscrittura organica della seconda parte della Carta, quella che riguarda la forma di governo. La prima parte invece, quella sui principi fondamentali, non viene toccata».
E come dovrebbe funzionare?
«Con l’elezione, appunto, di un’assemblea costituente, con sistema proporzionale da parte di tutti i cittadini con diritto di voto. Cento nuovi padri costituenti che restino in carica per dodici mesi, prorogabili di altri sei mesi un’unica volta. Un anno e mezzo di tempo per rivedere l’architettura istituzionale dell’Italia».
Un “parlamentino” ad hoc, come fu la Bicamerale?
«Nulla di più diverso: la Bicamerale fu una commissione composta da deputati e senatori. Qui parliamo di un’assemblea votata da cittadini elettori. Con membri candidati sì dai partiti, ma secondo la nostra proposta non immediatamente ricandidabili alle successive elezioni».
Perché no?
«Per scoraggiare i partiti dal candidare politici con l’unica ambizione di essere rieletti. È un incentivo a trovare i personaggi più qualificati tra costituzionalisti, avvocati, ex magistrati, professori di discipline giuridiche».
Perché assegnare un compito così delicato come riscrivere la Carta a un’assemblea ex novo e non a chi, come i parlamentari, è pagato per farlo?
«Per un semplice motivo: i parlamentari non ce la faranno mai. Prendiamo atto dei tentativi fatti finora: ogni volta che si è provato a mettere in pratica un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo come quello che per esempio sta a cuore all’attuale premier, non ci si è riusciti. L’unico modo per avere successo è provare a volare più alto, al di fuori del dibattito parlamentare. Il messaggio che stiamo provando a mandare alle forze politiche è: litigate pure sul quadro, ma almeno mettetevi d’accordo sulla cornice, sulle regole del gioco».
E un procedimento del genere si può fare a Costituzione vigente?
«Se c’è un’intesa larga tra le forze politiche, come quella che noi puntiamo a ottenere, sì. Basterebbe un’unica legge costituzionale, magari approvata con oltre i due terzi del Parlamento, che stabilisca di aprire una procedura di revisione della carta in deroga all’articolo 138».
Avete già sondato i leader?
«So che Calenda lo ha fatto. I leader gli hanno assicurato che valuteranno la proposta. Vediamo che succede. Noi siamo una Fondazione, non sediamo in Parlamento: il nostro compito è proporre uno strumento tecnico raffinato per cercare di dare una raddrizzata a questo Paese. È anche su questo che si misura la credibilità di una classe dirigente».
Lei è convinto che possa funzionare?
«Einaudi ripeteva: prima conoscere, poi discutere, poi deliberare. Èqualcosa che in questo Paese manca: si tende solo ad andare allo scontro tra curve contrapposte. Vorremmo cercare di superare questa situazione. Per ridare alla democrazia parlamentare quella centralità che oggi sembra aver perso».
Andrea Bulleri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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