28.06.2025
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Economy

la spinta per i giovani. Le misure nella prossima Manovra


Governo e Parlamento spingono sulla previdenza complementare. L’obiettivo è doppio. Cercare di garantire un assegno più pesante a quanti lasceranno il mondo del lavoro con il solo sistema contributivo, quindi sapendo che avranno una pensione calcolata soltanto su quanto versato e non sull’ultimo stipendio, e favorire l’afflusso di risorse fresche verso il sistema produttivo italiano. Sui modi per tagliare il traguardo, tecnici governativi, senatori e deputati la pensano allo stesso modo. Per incentivare i giovani ad aderire a un fondo pensione c’è bisogno di garantire loro rendimenti più alti. «Occorre migliorare l’adesione dei lavoratori ai fondi pensione e occorre migliorare le modalità di investimento e rendimenti», hanno spiegato i rappresentanti del ministero dell’Economia in audizione davanti ai senatori della commissione d’inchiesta sulle banche, la cui lente copre anche il settore finanziario nel suo complesso. «Bisogna far sì che nel bilancio tra obbligazioni e componente azionaria dei fondi pensione sia tenuta in considerazione l’età dell’aderente. Un soggetto molto giovane può investire una componente molto alta in azioni. Il contrario vale per chi invece si avvicina alla pensione».

LE IDEE

Lo stesso suggerimento era arrivato dall’ultima relazione della commissione bicamerale Enti gestori. «Potrebbe risultare opportuno superare il vigente meccanismo di silenzio-assenso a favore delle linee garantite», si legge nel documento. In pratica, in assenza di una precisa indicazione del comparto d’investimento al quale l’aderente verrebbe iscritto non sarebbe più quello più garantito, «ma sarebbe collocato nei diversi comparti in maniera dinamica, esponendolo a maggiori rischi, in favore di maggiori rendimenti attesi, nelle fasi più lontane dall’età del pensionamento, in cui è possibile adottare un orizzonte di investimento di medio-lungo periodo, per poi passare a linee più prudenti all’approssimarsi della fase di erogazione delle prestazioni, in modo da mitigare altresì il rischio che la stessa erogazione risenta eccessivamente di fasi negative sui mercati finanziari».

Quindi più azioni in una prima fase, più titoli governativi, che oggi rappresentano il 55 per cento degli investimenti, con l’avvicinarsi della pensione. L’idea è intervenire in autunno, con la prossima manovra. Già nel corso dei lavori dell’ultima legge di bilancio il tema della previdenza complementare e integrativa aveva dominato le discussioni. Al centro del dibattito, nelle settimane che avevano anticipato l’approdo in Parlamento della manovra, c’era stato la possibile nuova finestra del meccanismo di silenzio-assenso per destinare automaticamente il trattamento di fine rapporto (Tfr) ai fondi pensione. Il sistema ora vale soltanto per la prima assunzione. Se entro sei mesi il lavoratore non indica se vuole mantenere il suo tfr in azienda oppure destinarlo a un fondo, questo va alla previdenza complementare. «Vanno visti positivamente anche meccanismi che rendono più automatica la partecipazione», ha sottolineato nei giorni scorsi Mario Pepe, presidente della Covip, la commissione di vigilanza sulla previdenza complementare.

Una nuova finestra che darebbe a tutti i lavoratori la possibilità di riconsiderare la propria scelta in 180 giorni ha però ripercussioni anche sull’Inps

Secondo la legge, infatti, in caso di imprese con più di 50 dipendenti, il Tfr lasciato in azienda confluisce nel Fondo di Tesoreria dell’Istituto di Via Ciro il Grande, utilizzatore sì per erogare quanto dovuto una volta lasciato il lavoro, ma nel frattempo anche come forma di spesa corrente dell’ente.

IL DIBATTITO

Le discussioni nel prossimo autunno si dovrebbero invece concentrare sui maggiori investimenti azionari.

D’altronde che anche lo sviluppo del mercato azionario sia da considerarsi tutelato dalla Costituzione è il sunto che il presidente di Amf Italia, Marco Ventoruzzo, fa al termine del convegno annuale della associazione che accordo gli operatori del mercato finanziario italiano. Nel dibattito a Palazzo Altieri l’ex ministro Paola Severino, avvocato e presidente della Luiss School of Law, ha posto l’accento sulla necessità di una «idea più dinamica» di tutela del risparmio. Per il costituzionalista Sabino Cassese: «Se si fosse applicata la Costituzione indirizzando il risparmio verso i grandi complessi produttivi del Paese, avremmo avuto una crescita del Pil e non ci sarebbe stato il problema del debito».

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